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CREDIT SUISSE«A Parigi, Berlino e Londra c'è chi si sta sfregando le mani»

15.03.23 - 19:03
Dopo la disastrosa giornata di oggi, l'ombra del fallimento e di una nuova crisi globale. Ma sarà davvero così? I commenti degli esperti
Reuters
«A Parigi, Berlino e Londra c'è chi si sta sfregando le mani»
Dopo la disastrosa giornata di oggi, l'ombra del fallimento e di una nuova crisi globale. Ma sarà davvero così? I commenti degli esperti

ZURIGO - Quando c'è aria di crisi, o anche solo una lontana parvenza, nel mondo della finanza – si sa – a fare la differenza sono le rassicurazioni e le prese di posizione. Quando queste, invece, non solo non arrivano ma vengono addirittura disilluse allora sono davvero guai.

Cronaca di un mercoledì nero

È questo, in larga sintesi, il ritratto della giornata di oggi del tribolato colosso elvetico Credit Suisse che, dopo aver rassicurato che il suo coinvolgimento con la fallita Silicon Valley Bank sarebbe di entità «non rilevante», è stato poi preso in contropiede dai partner sauditi di maggioranza. La Saudi National Bank, infatti, ha categoricamente negato all'agenzia stampa Reuters qualsiasi possibilità di nuovi afflussi di liquidità.

Tanto è bastato per generare un crollo a valanga del titolo in borsa che è arrivato a toccare (e per l'ennesima volta) il suo minimo storico, con un valore parecchio al di sotto dei 2 franchi e un picco abissale attorno agli 1,55 fr. (-30% sul valore di martedì).

A fine giornata il titolo si attestava attorno al -24%. Una tendenza negativa che ha finito per influenzare le borse europee che sono tutte sprofondante nelle cifre rosse. Importanti le ripercussioni anche sugli altri istituti di credito elvetici (Ubs su tutti) e anche le assicurazioni (Swiss Life, Zurich). 

L'ombra di un nuovo 2008

Al momento, è impossibile negarlo, la preoccupazione di un nuovo tracollo finanziario globale è forte, e gli sguardi di tutto il mondo – dai Paesi vicini fino ai lontani, ma ugualmente tribolati, States – sono rivolti verso Berna.

La speranza è che la Bns possa fare chiarezza e rassicurare non solo i mercati e gli azionisti, ma anche i clienti. Sono proprio questi che, con un'eventuale fuga di capitale, potrebbero davvero mettere in ginocchio l'istituto di credito.

La memoria torna quindi al 2008 e al salvataggio di Ubs con 54 miliardi di franchi (6 della Confederazione). Secondo il Financial Times, Credit Suisse avrebbe già inoltrato richiesta formale alla Banca Nazionale affinché prenda pubblicamente posizione. Stando agli osservatori, i contatti fra le parti sarebbero già in corso.

«Bisognava intervenire da un pezzo»

«La Bns e la Finma avrebbero dovuto intervenire da un pezzo per verificare lo stato di salute di Credit Suisse», spiega a 20 Minuten il professore di matematica finanziaria dell'Uni di Zurigo Marc Chesny, «al momento CS è ancora considerato “too big to fail”, quanto costerebbe alla Banca Nazionale intervenire per salvarla? Difficile dirlo, certamente parecchio».

Il professore emerito di scienze bancarie Hans Geiger però è dell'idea che «poco probabilmente sarà necessario un intervento statale, il titolo potrà anche scendere di qualche centesimo, ma questo non è per forza rappresentativo dello stato di salute di una banca... Le cose cambierebbero se i clienti iniziassero a scappare, ma non è così», spiega. 

«Non si parli di un settore bancario in crisi»

Se la banca dovesse davvero fallire, aggiunge Geiger, «basterebbe scindere la sua parte internazionale da quella elvetica che sta andando molto bene, la comprerebbero subito. Sarebbe un vero affare per chiunque». Facendo un parallelo con il salvataggio di Ubs dopo la crisi del 2008, il professore emerito ribadisce: «Anche il quel caso eccezionale, alla fine la Bns ci ha pure guadagnato, non farei quindi dei catastrofismi».

E, in ogni caso, nella crisi c'è chi sorride, soprattutto all'estero: «In questo momento a Londra, Parigi e Francoforte c'è di sicuro chi si sta sfregando le mani, la gente gongola quando Zurigo e Ginevra vanno male». 

Si può quindi parlare di una crisi delle banche svizzere? «Assolutamente no, il settore è ancora molto forte. Un esempio? Ubs.».

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