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CANTONE«Sentirsi né maschio né femmina non è una moda»

14.05.24 - 06:30
Dopo il trionfo di Nemo, si accende il dibattito sulla non binarietà. L'opinione di Arianna Lucia Vassere (LGBTQIA+ Imbarco Immediato).
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«Sentirsi né maschio né femmina non è una moda»
Dopo il trionfo di Nemo, si accende il dibattito sulla non binarietà. L'opinione di Arianna Lucia Vassere (LGBTQIA+ Imbarco Immediato).

BELLINZONA - La Svizzera vince l'Eurovision Song Contest. Ma, almeno in apparenza, si parla poco di musica. Tutta l'attenzione è focalizzata sull’identità di genere non binaria di chi ha vinto: Nemo. Il trionfo di "The Code" diventa così il pretesto per parlare della possibile introduzione di un terzo genere. O per proporre di togliere il sesso dai documenti di identità. La discussione sta degenerando? Non secondo Arianna Lucia Vassere, volontaria dell’associazione LGBTQIA+ Imbarco Immediato.

Si parla quasi solo di identità non binarie. Poco di musica. Non è paradossale?
«Non sono d'accordo. Il brano di Nemo racconta di un percorso, di un vissuto. Il tema dell’identità di genere è parte della sua canzone. Avesse portato una canzone sulla guerra, tutte le persone magari avrebbero parlato di quello che sta succedendo in Medio Oriente. In fondo la musica è una forma di linguaggio. E allora certo che si sta parlando di musica, ma anche di altro».

Con quale sentimento da parte vostra?
«Stiamo festeggiando una forma di liberazione, oltre che la vittoria di un festival musicale. Ed è bene parlarne: in questa settimana, il 17 maggio, ricorre tra le altre cose la giornata internazionale contro l’omofobia, la bifobia e la transfobia. Parliamo di diritti umani fondamentali, non dimentichiamolo. Nel mondo si muore ancora di omo-trans-bifobia».

D'accordo. Forse però qualcuno sta strumentalizzando la canzone di Nemo per avanzare ipotesi rivoluzionarie?
«Ci sono persone che semplicemente chiedono di potere essere riconosciute, di potersi sentire a loro agio, anche nella compilazione di un formulario. L’identità di genere è legata a come una persona si percepisce, a come si sente intimamente. Non sono le altre persone a dovere dare un’etichetta».

Andiamo sul concreto. Come dovremmo rivolgerci a una persona che non si sente né maschio né femmina?
«Nel modo più inclusivo possibile; la lingua italiana, tra l’altro, ce lo permette. Prima di iniziare la conversazione si può semplicemente concordare il pronome preferito con la persona in questione. E chiedere come vuole che venga chiamata. Ora ci sembra magari difficile. Ma tra dieci anni potrebbe essere la cosa più normale. Instagram già ragiona in quest'ottica e permette alle persone iscritte di dichiarare l’identità di genere nella quale si riconoscono».

C'è chi vorrebbe abolire il sesso (o il genere) dai documenti. Cosa ne pensa?
«La società non è ancora pronta per un passo del genere: i concetti di femminile e maschile sono potenti, come un codice binario che riconosce solo gli zeri e gli uno. La tradizione è secolare e quindi le basi giuridiche per introdurre un’identità di genere non binaria vanno ancora create. Meglio magari puntare su una terza via. Se in un formulario oltre alla voce "maschio" e "femmina" aggiungiamo la parola "altro" che problema si crea alla collettività? Semplicemente si aggiunge un diritto per altre persone: quelle che non si riconoscono esclusivamente nel genere maschile o esclusivamente in quello femminile».

Quanto peserebbe psicologicamente una simile casellina in più?
«Per molti sarebbe il simbolo di una forma di liberazione. Stiamo parlando di persone finora costrette a vivere chiuse in un armadio, a nascondersi. E invece Nemo canta, felice, senza artifici: è una persona più libera di altre».

Fino a pochi anni fa non si parlava di genere.
«E non perché "non andasse di moda". Era tabù. Immaginatevi cosa significhi stare nell'ombra per tutta la vita, senza mai poter vivere liberamente le componenti della propria identità».

Ha usato la parola "moda". Non a caso.
«Chi non conosce le questioni di genere pensa quasi che si tratti di capricci. Invece qui si tratta di immaginare e progettare un contesto maggiormente inclusivo, sia dal punto di vista del linguaggio sia delle pratiche quotidiane. Ogni persona deve essere la benvenuta, indipendentemente dalle caratteristiche della sua identità sessuale. Un po’ come all’Eurovision Song Contest, dove trovano posto il gotico, Maria, Madre Teresa di Calcutta e Nemo».

Cosa l'ha colpita di "The Code"?
«Nemo ha fatto trasparire una grande gioia di vivere. È una persona che è felice del viaggio che ha compiuto e che sta ancora compiendo. Non dobbiamo pensare a un problema, ma a una soluzione che una persona ha trovato per stare bene e avere finalmente un po’ di serenità. Il dibattito era tuttavia inevitabile: parliamo di temi che ci chiedono di “andare oltre”».

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