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«Lasciateci godere il sereno, per il resto c'è tempo»

La filosofa Francesca Rigotti sul proliferare di allarmi in merito a malattie, e non solo: «È la società della paura».
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«Lasciateci godere il sereno, per il resto c'è tempo»
La filosofa Francesca Rigotti sul proliferare di allarmi in merito a malattie, e non solo: «È la società della paura».
Dopo il Covid, gli specialisti invitano la popolazione a preoccuparsi (anche) per il vaiolo delle scimmie e per il virus del Nilo occidentale. E poi ci sono la guerra, la crisi energetica, l’inflazione…
LUGANO - Parola d’ordine: preoccupazione. Non bastavano il Covid, la guerra in Europa, la crisi energetica… Fior di specialisti hanno definito “preoccupante” dapprima il vaiolo delle scimmie. Stessa cosa, più o meno, p...

LUGANO - Parola d’ordine: preoccupazione. Non bastavano il Covid, la guerra in Europa, la crisi energetica… Fior di specialisti hanno definito “preoccupante” dapprima il vaiolo delle scimmie. Stessa cosa, più o meno, per il virus del Nilo occidentale.  «Così – Francesca Rigotti, filosofa ed esperta in dottrine politiche, interpellata da Tio/20Minuti – si crea un clima di costante apprensione e ansia. È malsano».

Sta nascendo "la società della preoccupazione"?
«Temo proprio di sì. Penso sia una specie di sotto categoria della società della paura, nella quale viviamo immersi almeno dall’11 settembre 2001. E che fa comodo a molti, soprattutto ai governanti, per tener buoni i cittadini. Non solo. Fa comodo anche a chi si occupa di cure».

Un medico potrebbe dire che fare prevenzione è il suo compito…
«È ovvio che i medici rivolgano questi avvisi, visto che curare è il loro mestiere, e “preoccuparsi” vuol dire letteralmente “occuparsi prima” di qualcosa. Preoccuparsi nel senso di fare prevenzione, senza allarmare quando non è il caso, va bene. Quello che non va bene è l’esortare a preoccuparsi nel senso che ha assunto oggi il vocabolo, ovvero l’indurre le persone a vivere in uno stato di ansia e di apprensione per ogni piccolezza».

Dopo il Covid si nota un proliferare di notizie scientifiche. Si è innescato un meccanismo per cui i ricercatori hanno capito di trovare visibilità per qualsiasi tipo di studio?
«In realtà la divulgazione scientifica, sempre che la medicina sia una scienza, è una buona cosa. Se poi la si fa per avere visibilità, non sarà per uno scopo nobilissimo, ma pazienza».

Spesso questi studi sono provvisori. E vengono dati in pasto all'opinione pubblica che non ha strumenti per capire. Che effetto può avere a livello sociale questo meccanismo?
«La divulgazione scientifica, ripeto, è importante, come ogni forma di divulgazione. Lo studioso, l’universitario per esempio, dovrebbe ricercare, insegnare, divulgare: un bel motto che faccio mio. I media però dovrebbero andarci piano nel diffondere dati provvisori non confermati e nell’annunciare rimedi che non guariranno, per non illudere chi ne avrebbe davvero bisogno». 

Anche sulla guerra in Ucraina, sulla crisi energetica, sull'aumento dei prezzi siamo chiamati a preoccuparci.
«Così si toglie la tranquillità alle persone, in particolare alle più giovani, che dovrebbero invece vivere in uno stato di serenità. Il cielo non è sempre buio e temporalesco: dopo la pioggia c’è il sole, dopo il sabato c’è la domenica, lo diceva anche il poeta Giacomo Leopardi. Lasciateci godere il sereno e la festa, quando ci sono. C’è tutto il tempo per il resto».

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