Riunite da Asics, Bacsinszky e Ryf hanno raccontato la loro continua lotta per tentare di eccellere. Libero scambio tra la tennista numero 15 al mondo e la regina dell'Iroman
LOSANNA - Timea Bacsinszky e Daniela Ryf sono semplicemente due tra le atlete più forti del mondo. La prima con la racchetta, la seconda nel triathlon, sono il meglio che la Svizzera può offrire nei relativi sport. Per raggiungere l'eccellenza, per lasciare il segno, devono in ogni modo lottare ogni giorno, contro loro stesse prima ancora che contro le rivali. Devono superare i loro limiti...
Ricerca, spinta, negare i propri limiti: manuale d'uso...
Timea Bacsinszky: «Sono cresciuta con l'idea di avere dei limiti. Così quando sono “tornata” al tennis, è per me divenuto uno slogan dire: “Devo cercare i miei limiti, questi esistono davvero?”. Il mio coach (Dimitri Zavialoff) spesso mi ripete che devo considerare questa mia nuova carriera senza l'idea del limite. Secondo me, trascendere, ovvero superare i limiti, non è un atteggiamento relegato a momenti particolari. Devi farlo durante una partita, in allenamento, alle 6 di mattina quando ti alzi per andare a correre o quando vai a letto mentre degli amici ti chiedono di uscire»
Daniela Ryf: «Per me, spingere oltre i limiti in allenamento significa raggiungere un “altro livello”. Io so a quale velocità ho corso o ho pedalato e so che devo provare a superarmi. L'obiettivo è sempre quello di raggiungere uno stadio mai toccato prima. In gara superare sé stessi è naturale. Se tu hai lavorato bene, puoi portare il tuo corpo a un livello superiore, devi fare in modo che questo accada nel giorno stabilito».
I limiti ai quali siete arrivate sono assoluti o relativi?
D.R.: «Entrambi. Inoltre è solo la lotta costante contro i tuoi limiti "del momento" che ti dà la possibilità di superare i limiti assoluti. In allenamento è necessario provare a raggiungere sempre il tuo massimo, anche se in quel momento è relativo. Questo è l'unico modo per salire di livello»
T.B.: «Si può essere malati, si possono avere problemi privati o qualsiasi altro pensiero ma dobbiamo tentare di tirare fuori il meglio di noi stessi. Pierre Paganini una volta ha detto al mio coach: "Ogni giorno si ha un appuntamento con sé stessi". È come se tutti i giorni fossi in una piccola sala conferenze, con te stesso. E uno Slam è semplicemente una conferenza con l'intero pianeta. È possibile gestire il grande solo se sei te stesso nella piccola stanza».
D.R.: «Altrimenti poi la paghi davanti al mondo».
T.B.: «Nel tennis la questione dei limiti assoluti è complessa perché i campi nei quali devi essere al top sono diversi. La tecnica è legata all'aspetto fisico e... viceversa. E puoi avere tecnicamente il miglior dritto del mondo ma se mentalmente non sei pronto a sacrificarti questo non ti serve a nulla».
D.R.: «Nel mio sport grande peso lo ha l'aspetto tecnologico. Se, per esempio, la bicicletta sulla quale monti si rompe... tu perdi tutto. Psicologicamente, invece, la frazione nella quale c'è il maggior margine di miglioramento è la corsa. Fisiologicamente, infine, sembra che nessuno conosca realmente i propri limiti. Comunque, se faccio l'Ironman, è perché voglio sapere esattamente quanto forte posso andare. A un certo punto troverò un "muro". Ma quando? Fortunatamente non lo so. Se, infatti, conoscessi davvero qual è il mio massimo, probabilmente chiuderei con il triathlon».
Il rapporto con il corpo: alleato e falsi amici.
T.B.: «Il rapporto che ho con il mio corpo è sempre stato difficile. Questo nasce dal comportamento di mio padre, che mi ha sempre detto: "Sei brutta, sei grassa". Queste parole mi hanno segnata tanto da rendere difficile mostrarmi nei grandi impianti, come anche accettare la mia immagine quando la vedo sulle foto. Non è facile vedere come alleato qualcosa che odio. Inoltre, con l'influenza della televisione, nel tennis si sono mescolati gli interessi, facendo sì che i grandi contratti e i grandi impianti siano destinati alle più belle. Il corpo non è apprezzato per le sue qualità "funzionali" e ciò non aiuta a dare un'immagine precisa del mio sport».
D.R.: «Nel mio caso è tutto completamente diverso. Nell'Ironman infatti si perde tutta la consapevolezza del proprio corpo. Quando finiamo siamo in uno stato... (ride). In realtà penso che dopo una gara tanto dura quella che è la pura immagine sia del tutto svanita. Detto ciò, il mio rapporto è cambiato con il passare del tempo. Quando correvo in Coppa del Mondo non avevo compromessi per quanto riguardava allenamenti e alimentazione. Correre era una "debolezza", lo facevo per perdere peso. E tutto era divenuto eccessivo. Il triathlon, invece, mi permette di lavorare sulle mie qualità, anche sulla forza. Vedo in ciò un messaggio importante per tutte le donne: essere magra non ti rende per forza più veloce. Da quando non ho più questa ossessione con la "magrezza" mi sento meglio. Sono felice».
T.B.: «Il rapporto con il mio corpo sta migliorando. Non è ancora il mio migliore amico... ma sono sulla strada giusta».
Quando il corpo ci molla, dobbiamo accettare il "tradimento".
D.R.: «Penso che si abbia un rapporto di amore-odio con il corpo. È il nostro "capitale" e gli chiediamo tanto: lo rivoltiamo e spremiamo... quando smetterà di funzionare dovremo accettarlo. In ogni caso, io mi prendo anche molta cura di esso e questo è essenziale. Credetemi: non voglio trovarmi a 50 anni con i tendini andati. Quindi sto molto attenta».
T.B.: «Lo scorso autunno a Wuhan, dopo tre partite, non riuscivo più a respirare, mi girava la testa. Ho pensato, "andrà meglio, aspetta". Ma dopo un lungo scambio ho avuto i crampi: non riuscivo a muovermi, ero in preda al panico. Avevo una pressione massima a 190 battiti al minuto e normale ho una minima a 34. Per la prima volta ho sentito che il mio corpo mi stava chiedendo di smettere. La stagione molto lunga, le Olimpiadi, il virus preso negli USA... alla fine ho mollato. La testa voleva fare ma il corpo non rispondeva».
D.R.: «Detto questo è affascinante vedere come la testa e il corpo siano collegati. E come si può ingannare il nostro corpo attraverso la mente. Per esempio nella gara delle Hawaii del 2014, mentre pensavo di essere a 9 km dal traguardo ho visto un cartello che, invece, indicava i -12km. A quel punto tutto si è mescolato nella mia testa, ho creduto di aver calcolato male la dieta e di aver energie sufficienti solo per altri 40', invece dell'ora che realmente mancava. Dieci secondi dopo mi è venuta fame, dieci secondi più tardi un crampo... i pensieri negativi per un "errore della testa" hanno portato il mio corpo verso il basso».
T.B.: «In allenamento so essere molto dura con me stessa. Mi maledico dicendomi: "Cambia sport". In quei casi mi ricordo in ogni modo tutte le mie responsabilità: "Hai scelto tu di tornare al tennis, di fare questa vita". E poi ci sono anche i bei ricordi, come la semifinale al Roland Garros nel 2015 o la medaglia a Rio de Janeiro. Sto programmando un futuro positivo, si tratta di una forma di visualizzazione: mi vedo al prossimo torneo, mentre gioco e sono in grado di vincere. Credo che, se non li prepari prima con la testa, quando ti trovi nei grandi appuntamenti tu possa anche farti prendere dal panico. Considerare, preparare... è un bene».
D.R.: «Nell'Ironman i discorsi interiori - positivi o negativi che siano - hanno una grande influenza: questi sono l'angelo o il diavolo sulla tua spalla. E noi atleti dobbiamo provare a cullare il primo e non ascoltare il secondo. Per raggiungere un obiettivo cerco di non pensare al risultato prima o durante una gara. Provo a concentrarmi sul momento. Pensare al ciclismo quando ancora stai nuotando è infatti un po' come, in ufficio, guardare a tutti i fascicoli che hai da sbrigare piuttosto che trattarli uno alla volta. E non va bene. Devi focalizzarti su una disciplina alla volta, senza in più guardare al cronometro. Io provo a suddividere il percorso in parti piccole, in modo che lo sforzo perda la propria enorme dimensione. Infine il discorso interno ideale è... una canzone che continua a ripetersi nella tua testa. È come quando sei a una festa e la musica ti fa ballare sui tacchi fino alle 4 di mattina, finché non senti più i piedi. Sulla bici la musica ti aiuta a perderti dentro a te stesso: si dimentica tutto e tutto diventa possibile. Io sono riuscita a farlo due volte alle Hawaii. Così riesci davvero a spingerti oltre i tuoi limiti. A crescere».