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BALERNA«Così il Parkinson è diventato un mio amico»

22.12.22 - 06:30
Andrea Netzer, noto giornalista radiofonico, convive con questa malattia. E si racconta nel libro “Camminare oltre”.
Lettore Tio/20 Minuti
Andrea Netzer e la moglie Danika.
Andrea Netzer e la moglie Danika.
«Così il Parkinson è diventato un mio amico»
Andrea Netzer, noto giornalista radiofonico, convive con questa malattia. E si racconta nel libro “Camminare oltre”.

BALERNA - Il Parkinson e la forza della mente. Una vita che viaggia a mille all’ora, e che di colpo riscopre il gusto del tempo. La malattia che diventa un’opportunità. Suggestioni che trapelano da “Camminare oltre” (Flamingo Edizioni), libro scritto da Andrea Netzer, 64enne di Balerna, personaggio noto per la sua lunga carriera giornalistica in radio e per il suo passato da operatore sociale.

Questo è un libro in cui lei parla della malattia quasi in positivo. Come si arriva a un click mentale del genere?
«La malattia mi ha concesso il privilegio di rallentare. Prima facevo di tutto. Ero giornalista. Suonavo in cinque gruppi rock. Ero insegnante e traduttore buddista. Arrivi a un certo punto e ti rendi conto che il tempo ti sta sfuggendo via dalle mani».

D’accordo. Ma per arrivare ad accettare il Parkinson in questo modo ci deve pur essere una base.
«Eccome se c’è. Io sono sempre stato attratto dalla spiritualità. Forse perché da bimbo ero asmatico e un po’ problematico. Ero sensibile. Da ragazzino sognavo di fare il prete. Poi mi sono distanziato dal cattolicesimo. Ma l’interesse per qualcosa che andasse al di là di quello che si vedeva è rimasto. Negli anni ’90 ho studiato buddismo a Zurigo. È lì che probabilmente ho messo le fondamenta capaci di farmi vivere diversamente la malattia oggi».

Malattia diagnosticata nel 2019.      
«Il primo campanello d’allarme arriva nel 2018, in occasione della festa per i miei 60 anni. Stavo suonando il sassofono. A un certo punto mi accorgo che le dita della mano sinistra non rispondono in maniera corretta. Sul momento ero un po’ imbarazzato. Avevo pensato alla stanchezza. Nei mesi a seguire sono arrivati altri segnali. Il braccio rigido, le parole biascicate, una mobilità generale rallentata. Mia moglie un giorno mi guarda e mi dice che dovrei andare da un neurologo. A luglio del 2019, la diagnosi: ho il Parkinson».

Qual è stata la prima reazione?
«C’è stato sconforto certo. Anche perché si sa che è una malattia degenerativa e non c’è ancora una cura. Non sai come va a finire, ogni caso è a sé. La malattia però mi ha fatto anche riflettere sull’eventualità di andare in pensione un po’ prima. C’era anche il timore di chiudere la carriera lavorativa come un vecchio rottame. No, sarebbe stato più utile accettare questa nuova sfida che la vita mi poneva di fronte. Viverla pienamente».       

E come si fa?
«La meditazione mi aiuta tantissimo a prendere consapevolezza della mia nuova situazione. Certo, c’è un abbassamento delle mie prestazioni. Ma tutto questo ha un senso. Ho sempre inseguito una certa pace interiore, cercavo gli strumenti per avvicinarmi alla serenità. Ora lo posso fare con lucidità, non ho più addosso lo stress che avevo prima. Nel mio percorso ho imparato che se non puoi evitare un problema, allora lo affronti e cerchi di trarne gli aspetti più utili».

Non ha paura della morte o della degenerazione della malattia?
«La morte non la temo. Credo in qualcosa che c’è prima e che c’è dopo. Sull’evoluzione della malattia invece si può discutere. Non ho paura. Però so che qualcosa potrebbe cambiare di colpo. Questo mi incentiva a ricercare nuovi strumenti per ottenere un equilibrio interno. Ci sono persone che hanno il corpo devastato ma che sono in armonia. Perché hanno avuto cura della loro mente. È quello che mi piacerebbe raggiungere». 

Perché ha voluto scrivere questo libro?
«In realtà non volevo scrivere un libro. Buttavo giù per diletto qualche capitolo della mia vita. Dall’incontro con lo Scià di Persia fino a quello col Dalai Lama. Un giorno le mie figlie mi hanno detto: “Papà, tu hai avuto un’esistenza ricchissima, pubblica un libro”. Il resto è arrivato un po’ per caso. Non sentivo l’esigenza di apparire a tutti i costi. Uno di fronte alle mie storie potrebbe anche dire “chissenefrega”».

In realtà le sue storie sono anche molto divertenti. Come quando a 19 anni è finito in una setta…
«Sì. Ma ci sono entrato per capire. Sono sempre stato curioso. Volevo rendermi conto di come ti facevano il lavaggio del cervello. Io e un mio amico ci trovavamo a San Francisco. Una sera veniamo adescati da una ragazza super sexy. Ci invita a una festa e ci ritroviamo catapultati in una setta. A quel punto mi sono detto: “beh, ora sono qui e voglio capire”. Ho partecipato a una settimana di campo d’addestramento. Poi ho mollato. È stata un’esperienza che mi ha dato gli anticorpi, la capacità di intuire se dietro a una proposta spirituale c’è qualcosa di non sincero».  

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