Via Marconi e quello strano anno in Magistrale a Locarno


Stephanie Brenta, una cittadina luganese di 97 anni
Stephanie Brenta, una cittadina luganese di 97 anni
LUGANO - Ed eccomi di nuovo in treno. Vado in collegio a Locarno, alla magistrale. È un ritorno a Muralto, dove ho fatto la quarta e la quinta elementare. Ho in mano una valigia con poche cose. Ho su una gonna blu a metà ginocchio, un giacchino blu con una camicetta bianca e delle scarpe consumate con sotto un buco. Il cuoio è razionato, c'è la guerra.
Scendo. Voglio vedere se è tutto ancora come lo ricordo. Sì. Mi vedo davanti a un viale foderato di quadretti rossi, fiancheggiato da case chiare e filari di alberi con in fondo il lungolago dove giocavo tanto. Alberi verdi e aiole decorate e fiorite sotto gli alberi che si stagliano contro il cielo azzurro e il lago blu.
È un quadro e un quadro non si deve sfregiare. E ricordo che a ridosso dei binari della stazione c'era un grande spazio che arrivava al bordo della strada che porta a quella stupenda pieve romanica che è San Vittore. Lì ci sarebbe spazio per il traffico e anche sotto ci si potrebbe costruire un autosilo.
Ma adesso tornate con me nel lontano 1942.
Una breve scalinata, un cortile alberato con intorno un muretto e un grande portone che mi inghiotte.
Dovrei fare la seconda ginnasio, ma arrivata lì decisi di sfidare la sorte. Mentii dicendo di aver dimenticato il mio libretto scolastico e freddamente dissi che entravo in quarta. Esami di ammissione: il professor Calgari mi chiede il commento sul Pianto Antico di Carducci. "Il verde melagrano da' bei vermigli fior, nel muto orto solingo rinverdì tutto or ora, e giugno lo ristora di luce e di calor". Lo sapevo, eccome! Lo amavo. E il mio commento triste della poesia fu un successo. Tutto funzionò anche grazie al calendario Pestalozzi che per l'esame di geometria mi cavò d'impiccio. E poi la brutta notizia: «A casa tutti, ci rivediamo settimana prossima».
Io ero lì con la mia valigia senza un soldo in tasca. E come facevo a tornare a casa? Chiesi se potevo rimanere. «No, la scuola chiude». Mi sedetti sul muretto, mi chiesero perché non me ne andavo. «Non posso, non ho i soldi per il treno per tornare a casa». Improvvisamente inventai. «Ho perso il portamonete».
Il professor Calgari sorrise e mi diede 2 franchi. È stato un momento penoso, avrei dovuto elemosinare.
Così avevo saltato due classi.
Mia madre lo trovò la cosa più naturale del mondo. Diceva sempre: «I miei figli sono così intelligenti». Vittoria era entusiasta, mi invitò a passare una settimana nella sua casetta rustica su nei prati di Soragno. Era un sogno. E lì nacque un'amicizia incrollabile.
La normale. Lunghi corridoi, grande camerata con due schiere di letti allineati, che noi chiamavamo la mangiatoia. La nostra sorvegliante, la Maestretti, "toscanaccia" ci chiamava stolte. Nelle entrate c'erano appese le nostre giacche blu, con le etichette. I ragazzi della maschile che venivano il lunedì mattina a latino erano i corrieri per tutti i bigliettini che correvano tra questi due collegi che sembravano stagni. Era un anno strano, ero l'unica interna della mia classe, la mia compagna di banco era Nini Pfister, la mamma poi di Maurizio Canetta.
C'era la Lucis Wehrli, la Adriana, l'Adriano Broggini, c'era la Carla Varini, c'era la Leoni e poi non ricordo più i nomi. Dopo il pranzo, finalmente - avevo da mangiare, che di fame ne avevo tanta - ballavamo al ritmo dell'Orchestra Radiosa. Cantavo tutte le canzonette dell'epoca e ballavo come una matta. C'era una delle figlie di H. Sulzer di Winterthur che era mia compagna di scuola. Veniva sovente a prenderla la sua matrigna. Lei era figlia di Olga, la prima moglie di Hans Sulzer. Mi conobbe e si affezionò a me e mi portava con sé a far merenda in piazza a Locarno e per finire ogni domenica ero ospite nella loro casa di Porto Ronco, dove conobbi anche Eric Maria Renarque. Era un uomo bellissimo che ammiravo per i suoi libri che avevo letto. Dieci anni dopo sposò Paulette Goddard, l'ex moglie di Charlot. Penso oggi che l'educazione di mia madre mi ha aperto molte porte. Mi trovavo a mio agio dappertutto e tutto mi era naturale. Hansi mi regalò molti abiti. Ero alta come lei, mi ero fatta abbastanza carina. Discutevo con gli adulti e mi sentivo più a mio agio con loro. Al martedì pomeriggio le mie compagne accompagnate dalla Maestretti andavano al cinema. Ma chi li aveva i 50 centesimi che ci volevano? Io no. E così rimanevo seduta sul muretto della normale a guardare la strada.
Durante le vacanze di Natale, tornando a casa, trovai vuoto l'appartamento di Cassarate. Nell'angolo della cucina c'era un sacco di mele e nessuna traccia dei miei. Mamma e Vera erano partiti a Basilea. Mia mamma non sapeva che sarei rientrata a Natale. Sono terribilmente allergica alle mele, chissà se non è una reazione psicologica a quella massa di mele che ho ingurgitato? Alla Normale in dormitorio avevamo una sorvegliante molto carina, era Ornella Baraggiola, sorella della proprietaria dell'albergo Lloyd, che sorgeva tra via Nassa e il lungolago di Lugano. Chiedendo delle mie vacanze, raccontai ridendo l'accaduto. Si scandalizzò e mi disse seriamente: «Stephy, se un giorno non sai dove andare, vai a Lloyd da mia sorella. Saprà di te e ti alloggerà. Ornella ebbe un tragico destino. Suo figlio fece parte delle Brigate Rosse che uccisero Aldo Moro. Non la rividi più, però aveva mantenuto la promessa che mi fece.
Quell'anno fu un anno speciale. Facevano gli esami finali della magistrale un gruppo, che anche nella Lugano di poi giocarono un ruolo molto importante.
Non faccio i nomi. Non so chi avesse "grattato" i tre temi degli esami finali di tedesco. So solo che la sottoscritta, che sapeva perfettamente il tedesco, finì in solaio a scrivere 12 temi, quattro per argomento, con qualche errore plausibile. Non era un problema per me riempire 12 fogli: la mia fantasia era inesauribile.
Tutti questi ragazzi diventati uomini furono i miei amici. Quando ero a Ginevra venivo invitata a tutti i balli della Leponzia, all'Hotel de Bergues. Per gli esami di licenza ginnasiale finì con un 6 in italiano. Il professor Calgari mi disse: «Non ho mai dato 6 a nessuno finora, ma mi devi promettere di continuare a scrivere. È la tua vocazione, dev'essere la tua meta.
Estate.
Non siamo più a Cassarate. Altro trasloco. Una delle ultime mansarde fu in via Canova 16, oggi sede della Corner Banca, un grande edificio quadrangolare all'interno un grande cortile sul quale si aprivano i portoni dei tre palazzi interni. C'erano i Bertoni che ci affittarono la mansarda dove vivevano mamma e Vera, e sporadicamente anch'io. E Lisa e i suoi fratelli, maggiori di me, divennero miei amici.
In uno dei palazzi interni viveva la famiglia Perlatti, alla quale figlia davo lezioni di ripetizione. Lei affittava camere ai bancari svizzero tedeschi che dovevano imparare l'italiano. Mi raccomandò e così ebbi un'entrata sicura. Mi pagavano un'enormità. Davo lezione ai bambini ritardati. Si era sparsa la voce e io ero impegnata e felice. Conoscevo quattro lingue più lo svizzero tedesco. Era un atout in quei tempi.
Nel 1943 arrivò a Lugano Eugenio Montale a pubblicare "Finisterre", non potendo farlo in Italia sotto il regime. Lugano pullulava allora di politici italiani in esilio, soprattutto alla pensione Stauber, oggi albergo Zurigo in corso Pestalozzi, e di soldati ai quali in quinta elementare avevo fatto a maglia tante calze di lana. E loro ringraziavano.
La guerra avanzava, si sapeva poco degli altri fronti. C'era Radio Londra, con le quattro note della quinta di Beethoven che ci dava qualche notizia clandestina.
L'unico mio divertimento era ballare. Avevo insegnato a ballare a Vera e a tanti ragazzi al Central. Dopo la visita di Montale noi tutti studenti - eccitatissimi - ci buttammo sulle poesie ermetiche. Amavo "La bufera" e trovavo questo modo di scrivere bellissimo. Ne feci qualcuna, non so se erano buone. Ugo Frey era mio amico. Stavamo ore all'angolo della Piccionaia per scambiarci le nostre opinioni e confrontare i nostri scritti. Vittoria intanto mi preparava alla maturità.
Siamo a fine '43. A fine '44 era deciso che sarei partita a Ginevra. E poi ai primi di gennaio vado a ballare al Central e lì comincia una storia bellissima, il mio primo amore.