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«Le mille partite in NHL? Pensavo fosse un traguardo irraggiungibile. Averlo raggiunto è speciale»

Lo scorso 13 dicembre Nino Niederreiter è entrato nella storia diventando il primo svizzero a disputare mille incontri nel campionato più difficile al mondo. Lo abbiamo intervistato.
«Le mille partite in NHL? Pensavo fosse un traguardo irraggiungibile. Averlo raggiunto è speciale»
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«Le mille partite in NHL? Pensavo fosse un traguardo irraggiungibile. Averlo raggiunto è speciale»
Lo scorso 13 dicembre Nino Niederreiter è entrato nella storia diventando il primo svizzero a disputare mille incontri nel campionato più difficile al mondo. Lo abbiamo intervistato.
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WINNEPEG - Sogna ragazzo sogna… Ne ha fatta di strada quel ragazzino partito da Coira e che sognava di disputare almeno una partita nel campionato più bello del mondo. Dopo l’esordio a 16 anni con il Davos e il titolo svizzero, Nino Niederreiter - di lui stiamo parlando - ha messo nelle valigie sogni e speranze e ha varcato l’Oceano. 

Dopo una (convincente) stagione nelle leghe giovanili americane, il giovane grigionese viene chiamato in quinta posizione assoluta nel draft del 2010 dai New York Islanders. Ma il suo inizio in NHL è complicato. Difficile. Anche traumatico. Ma Nino non ha mai smesso di crederci. Di pattinare. Di inseguire il sogno. Non è tornato indietro. Non ha scelto la strada (più) facile. E dopo aver detto addio alla Grande Mela, a Minnesota è esploso. Diventando "El Nino".

Sedici anni e tre squadre (Carolina, Nashville e Winnipeg) dopo, Nino è ancora lì. Nel campionato più bello e difficile del mondo. E il 13 dicembre ha scritto una pagina di storia della NHL e (soprattutto) dell'hockey rossocrociato. Diventando il primo svizzero (e il 412esimo giocatore in assoluto) a raggiungere le mille partite in NHL. Una pietra miliare. Un momento che nemmeno lui avrebbe mai pensato di vivere. «È un traguardo che ho creduto irraggiungibile per tanti tanti anni», ci confessa Nino in un'intervista concessaci dai Winnipeg Jets. «E averlo raggiunto è qualcosa di davvero molto speciale».

Cosa vedi nel tuo futuro? Continuerai in NHL o finirai la tua carriera in Svizzera?
«Mhm, è una domanda molto difficile. Il mio obiettivo è sempre stato guardare di anno in anno e poi decidere come andare avanti. Vediamo cosa succede. Vediamo se il corpo reggerà. La prossima stagione sarò ancora sotto contratto con i Jets. Poi affronterò il futuro giorno per giorno (step by step, ndr)».

Parlando di Svizzera, sei co-proprietario del Coira in Swiss League, pensi di fare come Jaromir Jagr e tornare a giocare lì prima o poi?
«Ah non per forza seguirò l'esempio di Jagr. A Coira ho imparato a giocare a hockey e mi sembrava giusto sostenerlo. Ma tornarci a giocare... Mai dire mai, ma non penso che sarà il caso».

Sei nato in Svizzera, ma metà della tua vita l’hai trascorsa oltreoceano. Come ti ha cambiato vivere in America e in Canada? In cosa ti senti “americano”? E in cosa svizzero?
«Ciò che mi ha cambiato di più è l’apertura mentale e la schiettezza che ho trovato qui. Noi svizzeri siamo piuttosto "chiusi". Meno aperti al mondo e cosmopoliti rispetto ad americani e canadesi. Ma è qualcosa che con il tempo ho avuto l’opportunità di imparare. Fin da ragazzino sono sempre stato piuttosto timido, ma con il trasferimento in America non ho avuto altra possibilità se non quella di aprirmi. Questa è sicuramente stata una delle cose più importanti che ho Imparato qui».

Negli scorsi giorni il Winterthur ha deciso di fare un passo indietro. La Swiss League è in perenne difficoltà. Secondo te la formula dei campionati va ripensata? E se si, come?
«È una domanda molto difficile e rispondervi, soprattutto non conoscendo esattamente i fatti non è facile. È sicuramente triste che il Winterthur abbia dovuto fare questa scelta per problemi finanziari. È una scelta drastica. E sicuramente un campanello d'allarme sia per la Swiss League sia per la Federazione di hockey, che dovranno trovare delle soluzioni per decidere come andare avanti».

Se potessi scegliere solo uno dei due trofei, preferiresti vincere i mondiali (magari quelli casalinghi) o alzare la Stanley?
«Sicuramente la Stanley Cup (ride). Sono almeno dieci anni che voglio vincerla».

Quali sono i giocatori più forti con cui hai giocato? A chi ti sei ispirato?
«Ho avuto la fortuna di poter giocare con e contro tanti giocatori incredibili. E penso di aver imparato qualcosa da ognuno di loro. Non c'è però un giocatore singolo da cui posso dire di avere imparato di più che dagli altri. All'inizio mi hanno aiutato molto giocatori come Zach Parise, Mikko Koivu (a Minnesota, ndr) o John Tavares (ai NY Islanders, ndr). È stato impressionante aver potuto giocare insieme a loro».

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