Il presepe dà fastidio. Il vuoto no
Luca Campana, consigliere comunale di Lugano del Centro
Non è la parola Natale a creare imbarazzo. È il presepe. È la figura di Gesù. Quella mangiatoia povera, quel bambino nato al freddo, ai margini, lontano dal potere e dalle comodità. Una storia che non si presta a essere neutra, né addomesticata. Gesù non è una decorazione. E forse è proprio questo che disturba: ricordare che il Natale non nasce nel benessere, ma nella fragilità.
Negli spazi collettivi, negli eventi pubblici, il presepe diventa improvvisamente un problema. Non perché imponga qualcosa, ma perché ricorda troppo. Una radice, una memoria, una visione dell’uomo che non può essere ridotta a lucine e pacchi regalo.
Intanto il mondo reale non si ferma. Le guerre non rispettano il calendario. I civili sotto le bombe non discutono di simboli. Conoscono il freddo, la paura, l’assenza di riparo. Una realtà che assomiglia molto più a una stalla che a un centro commerciale.
Basta scorrere i social in questi giorni per capirlo: il tema non è marginale. Commenti e discussioni mostrano un disagio diffuso davanti all’idea che il presepe o la figura di Gesù diventino motivo di imbarazzo negli spazi pubblici. Non slogan organizzati, ma reazioni spontanee, che raccontano una percezione, quella di una memoria che rischia di essere messa da parte per paura della polemica.
“Il paradosso è semplice: il presepe dà fastidio, il vuoto no.”
Negli eventi collettivi non si chiede di imporre una fede. Si chiede di non cancellare una storia. Perché il presepe, prima ancora che religioso, è umano perché parla di nascita, di accoglienza, di dignità nella povertà. È parte della nostra memoria comune.
Nessuna imposizione. Nessuna esclusione. Solo il diritto di non vergognarsi delle proprie radici.
Il Natale non è un pacco vuoto da centro commerciale, per questo auguro a tutti buon Natale.
