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LUGANO

"Re dei ponteggi": tre anni di carcere ma niente espulsione

Nel motivare il verdetto contro il 50enne kosovaro il giudice ha spiegato che «la sua colpa è grave. Ha commesso molteplici reati su più anni».
Ti-Press / Samuel Golay
"Re dei ponteggi": tre anni di carcere ma niente espulsione
Nel motivare il verdetto contro il 50enne kosovaro il giudice ha spiegato che «la sua colpa è grave. Ha commesso molteplici reati su più anni».

LUGANO - È stato condannato a 3 anni di carcere il "re dei ponteggi" (di cui uno e mezzo ancora da scontare). Il 50enne kosovaro, a processo davanti alla Corte delle Assise criminali lo scorso 18 novembre, è stato riconosciuto colpevole di una lunga serie di accuse legate a episodi accaduti tra il 2011 e il 2023 in varie località ticinesi e nel resto della Svizzera: dalla più grave, la bancarotta fraudolenta e il pignoramento, ma anche amministrazione infedele, falsità ripetuta e appropriazione indebita.

Cadute invece le accuse di riciclaggio di denaro e minaccia. Non è stata ordinata inoltre la sua estradizione.

Il verdetto del giudice - Nel motivare il verdetto, pronunciato questo pomeriggio, il giudice Amos Pagnamenta ha spiegato che la colpa dell'imputato è grave. «Ha commesso molteplici reati su più anni. Ha agito con fine di lucro senza esitare a indebitare le sue società e incurante delle conseguenze che sarebbero ricadute su chi si associava a queste società». Il giudice ha sottolineato che «solo l'indagine della Magistratura ha fermato questo suo agire».

L'uomo, residente nel Bellinzonese, era legato a diverse aziende edili che avrebbero fatto ricorso, a più riprese, a manodopera straniera senza permesso, commettendo allo stesso tempo una lunga serie di reati di natura finanziaria. Arrestato nel 2017 con l'accusa di malversazioni finanziarie, l'uomo aveva già scontato un anno di carcere preventivo per poi essere rilasciato nel 2018.

Un giocattolo che si rompe - Esaminando i capi d'accusa il giudice Pagnamenta ha confermato che l'uomo ha attinto denaro della società usandolo per altri scopi: «Sosteneva che i conti fossero suoi e che li potesse come fossero le tasche del suo mantello. L'imputato ha quindi inteso arrecare un danno ai creditori della società stessa. Quando il giocattolo stava per rompersi, ha usato i soldi di una ditta per creare un altro giocattolo».

«Era una sua abitudine - ha spiegato il giudice - assumere una persona per la contabilità. Persona alla quale non forniva la documentazione necessaria per fare il proprio lavoro. Anzi, la realtà è che lui ordinava cosa fare a chi lavorava per lui». Il giudice non ha apprezzato il fatto di scaricare la colpa su una persona ormai deceduta.

Poche attenuanti - L'atteggiamento dell'imputato durante il processo «non ha permesso un'attenuazione della pena», ha aggiunto il giudice. «L'uomo non ha mai assunto le proprie responsabilità e si è mostrato poco collaborativo». Detto questo «alcuni fatti però si pongono al limite della prescrizione». Si spiega così la differenza rispetto alla richiesta dell'accusa.

L'accusa, patrocinata dalla procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis, aveva chiesto infatti una pena di quattro anni e mezzo di detenzione. E la sua espulsione dalla Svizzera per un periodo di otto anni. La difesa, che fin dall'apertura del processo ha fatto leva sui presunti aspetti oscuri dell'atto d'accusa, aveva invece chiesto il proscioglimento dei principali capi d'accusa.

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