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«Un uomo gentile e mansueto. Da solo non avrebbe ucciso la moglie»

La difesa chiede una pena massima di 13 anni per il marito che nel settembre del 2024 a Chiasso uccise sua moglie insieme al fratello.
Tipress (simbolica)
«Un uomo gentile e mansueto. Da solo non avrebbe ucciso la moglie»
La difesa chiede una pena massima di 13 anni per il marito che nel settembre del 2024 a Chiasso uccise sua moglie insieme al fratello.

LUGANO - «Nulla è stato fatto di sua iniziativa. Lui da solo non avrebbe mai avuto il coraggio di uccidere la moglie». È quanto ha sostenuto stamattina alle Assise criminali la difesa del 45enne srilankese che l'11 settembre 2024 a Chiasso avrebbe ucciso, con l'aiuto del fratello, sua moglie 40enne.

L'avvocato Fiammetta Marcellini ha chiesto che l'uomo venga riconosciuto colpevole di omicidio intenzionale, e non di assassinio, proponendo un massimo di 13 anni di carcere e che si rinunci all'espulsione. Per il cognato, invece, la difesa ha spinto per il proscioglimento.

La sentenza è attesa per le 17 odierne.

«Un uomo semplice, timido e gentile» - «Non esiste una buona ragione per uccidere, uno scopo onesto per uccidere o una modalità gentile per uccidere», ha premesso l'avvocato Marcellini. «Il reato di assassinio punisce però le uccisioni commesse con modalità particolarmente malvagie e perverse, e non solo la pianificazione. Ed è vero, il mio assistito ha commesso un atto atroce e orribile, ma è molto pentito».

L'imputato «è un uomo semplice, che non ha avuto la possibilità di studiare, ed è fuggito dal suo paese di origine a quasi 30 anni», ha continuato la difesa. «È stato descritto da tutti come un lavoratore, un uomo timido, gentile e mansueto che non sarebbe mai stato capace di fare una cosa del genere».

«Chiunque avrebbe provato gelosia e rabbia» - Va detto, però, che nella situazione familiare in cui si trovava soffriva: «Era geloso e anche arrabbiato», ha confermato Marcellini. «E chi non lo sarebbe stato? Il mio assistito ha visto sua moglie e l'amante comportarsi da coppia sposata in casa sua e lei gli aveva riferito che se ne sarebbe andata, portando via la bambina. La donna aveva persino detto alla figlia di chiamare l'amante "papà" e al marito di iniziare ad abituarsi a stare senza la bambina. La disperazione, quindi ha preso il sopravvento».

Non vedeva via di uscita - Il 45enne, in quel frangente, non ha mai neppure pensato di poter far valere dei diritti sulla bambina. «Questo un po' per ignoranza e un po' perché, per questioni linguistiche, a livello burocratico e amministrativo la moglie si era sempre occupata di tutto», ha precisato Marcellini.

Il movente, dunque, «è stato la paura di essere separato dalla figlia, di vedersela portare via. Lo scopo era proteggere la bambina e il suo ruolo di genitore. E un movente come questo non può essere considerato particolarmente perverso».

«L'idea è stata del fratello» - Per quanto riguarda invece le modalità, la difesa ha riconosciuto che sono gravi. Ma il ruolo del marito nell'esecuzione è stato messo in discussione. «L'idea di uccidere la moglie è nata dal fratello, e lui ha aderito all'iniziativa perché era convinto che non ci fosse un'altra via di uscita. Questo, d'altronde, è nella sua indole: il 45enne non è autonomo nelle decisioni e segue continuamente l'iniziativa degli altri. Va detto, poi, che nell'atto il suo contributo non è stato preponderante. Lui si è limitato a tenere i piedi della moglie durante il soffocamento, mentre il cognato utilizzava mani e sacchetto».

Marcellini ha poi osservato che il marito «è stato collaborativo in corso di inchiesta e in carcere ha tenuto un comportamento impeccabile».

«Nello Sri Lanka non ha nulla» - Secondo la difesa, dunque, per l'uomo va configurato l'omicidio intenzionale, e non l'assassinio. E per un'eventuale espulsione è stato chiesto il caso di rigore. «Nello Sri Lanka il mio assistito non ha più nulla e si trova in Svizzera da oltre 20 anni».

La parola è infine passata alla difesa del fratello del marito.

«Non è stato lui» - «Non è stato lui a uccidere la cognata», ha detto l'avvocato Giorgia Maffei. «L'unico vero responsabile è il marito. Ha pensato di incolpare il fratello per alleggerire la sua posizione, uscire dal carcere e stare con sua figlia».

Il 45enne «ha fatto tutto da solo», ha insistito l'avvocato. «Se così non fosse stato sarebbero state rinvenute impronte del cognato nella camera da letto in cui è morta la donna».

Rischi di contaminazione - E, riguardo al DNA dell'uomo trovato sotto le unghie della vittima: «In uno spazio così ristretto come quell'appartamento, in cui si trovavano sia il marito che il cognato, ci sono elevate possibilità di contaminazione. Il DNA rilevato non è inoltre compatibile con un contatto diretto tra le due persone».

Infine, il movente prospettato non viene ritenuto convincente. «Essere arrabbiato per il fatto di avere un fratello cornuto non significa voler uccidere la cognata».

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