«Difficile cambiare le regole... E vi spiego perché...»

Dalla stagione in corso, l'ex capo di Swiss-Ski Urs Lehmann è impiegato presso la federazione mondiale FIS. A St. Moritz ha preso posizione in modo approfondito sul tema della sicurezza nello sci.
Dalla stagione in corso, l'ex capo di Swiss-Ski Urs Lehmann è impiegato presso la federazione mondiale FIS. A St. Moritz ha preso posizione in modo approfondito sul tema della sicurezza nello sci.
ST.MORITZ - La CdM sciistica non ha ancora compiuto due mesi, eppure finora ha già generato innumerevoli cadute, alcune delle quali anche gravi. Prima dell'inizio della stagione c'è stato il dramma che ha colpito l'italiano Matteo Franzoso, che ha perso la vita in un incidente mortale su una pista di allenamento.
Poco dopo l'inizio ufficiale della stagione si sono aggiunte altre gravi cadute. Lara Gut-Behrami, Corinne Suter e recentemente Michelle Gisin si sono rese protagoniste di capitomboli gravi.
Urs Lehmann, CEO della FIS, che ricopre questa carica dall'estate scorsa dopo essere stato presidente di Swiss-Ski per diciassette anni, ha provato a spiegare ciò che si sta facendo per migliorare la sicurezza sulle piste.
Urs Lehmann, negli ultimi tempi si sono registrati molti gravi infortuni. A che punto siamo sulla questione della sicurezza nello sci?
«Quando gli atleti scendono a oltre cento chilometri orari evidentemente c'è sempre un rischio. Quello che è successo ora rende chiaro che il rischio non può essere solo uno dei temi principali. Deve essere IL grande tema principale. Per questo motivo abbiamo avviato a ottobre un programma completo a più pilastri».
Di che tipo di programma si tratta?
«È composto da diverse parti. Faccio un esempio: oggi l'airbag è obbligatorio in gara. Ma in Sud America, durante gli allenamenti, l'airbag non è obbligatorio. Lì tutti devono essere d'accordo che l'airbag faccia parte dell'equipaggiamento di base. Questo è un cambiamento culturale che vogliamo introdurre rapidamente ovunque. Farò di tutto perché venga fatto il più velocemente possibile, lo prometto».
Ci sono altre misure concrete da adottare?
«Ci sono tre "workstream" concreti. Primo, il materiale, attualmente piuttosto aggressivo e poco regolamentato. In questo contesto si può ridurre "l'aggressività". Si parla anche di una tuta che rallenti di più, ma se si scia a centodieci invece di centotrenta chilometri orari, non sarebbe comunque un cambiamento rivoluzionario. Secondo, le piste: a livello mondiale ci sono standard molto diversi e ciò che era buono dieci anni fa oggi forse non lo è più. È quindi importante aggiornare i protocolli di sicurezza. Terzo, tutte le federazioni sciistiche dovrebbero integrare un modulo di sicurezza nella formazione. Si tratta di capire cosa sia lo "state of the art": anche gli allenatori devono prestare attenzione ai pali pericolosi quando tracciano un percorso. La sicurezza deve entrare nel DNA dell'intero sistema: federazione mondiale, federazioni nazionali, atleti».
In Formula 1 in passato ci sono stati molti incidenti gravi, ora la situazione è migliorata. Si può imparare qualcosa da questo sport?
«Sì. Credo soprattutto nel modo in cui oggi viene gestita. In Formula 1 non si consulta ogni soggetto coinvolto. Si convocano i migliori esperti, che poi decidono nell'interesse di tutti. Alla FIS è diverso. Facciamo proposte sulle regole che debbano essere applicate. Ma poi queste devono passare attraverso tutti i comitati prima di essere approvate.
Ho chiesto al nostro segretario generale quanto duri un simile processo. Mi ha detto: fino a due anni. Ma così non va bene. Se la FIS ritiene che queste misure siano le migliori per tutti, allora devono essere applicate. Ma perché dobbiamo ancora chiedere a tutte le federazioni se siano d'accordo? Dobbiamo trovare una soluzione, altrimenti questo iter continuerà a ostacolare il nostro sviluppo».
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