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LUGANO

Processo HCL, la sentenza: 14 mesi per Gaggini e Kaufmann

Ti press/Gabriele Putzu
Processo HCL, la sentenza: 14 mesi per Gaggini e Kaufmann
LUGANO – 14 mesi con due anni di sospensione per Fabio Gaggini e Beat Kaufmann; 30 aliquote da 300 franchi per Piergiorgio Rezzonico, anche queste sospese con la condizionale. È questa la sentenza inflitta dal giudi...
LUGANO – 14 mesi con due anni di sospensione per Fabio Gaggini e Beat Kaufmann; 30 aliquote da 300 franchi per Piergiorgio Rezzonico, anche queste sospese con la condizionale. È questa la sentenza inflitta dal giudice Zali ai tre imputati per truffa fiscale e infrazione della legge sulla AVS.

Si è concluso oggi pomeriggio, con un giorno di anticipo sulle previsioni, il processo alle assise correzionali di Lugano che ha visto seduti sul banco degli imputati Beat Kaufmann, “la mente”, Fabio Gaggini,”la chiave d’accesso” e Piergiorgio Rezzonico “l’anello del sistema”. Questi i protagonisti della vicenda così come li ha definiti in sede di requisitoria il procuratore pubblico Monica Galliker.

Riferendosi agli imputati Kaufmann e Gaggini, il giudice ha riconosciuto ad entrambi “elementi a favore”: il passato incensurato, la collaborazione offerta per chiarire i fatti e l’entità dei reati commessi, e la mancata intenzione di frodare il fisco e la legge sull’AVS per un proprio beneficio. sottolineando, nel caso di Gaggini, il fatto che l’imputato ha provveduto a saldare di tasca propria parte della somma non versata allo Stato. Il giudice Zali ha però sottolineato l’Avv. Gaggini, proprio in quanto avvocato, era tenuto ad avere una coscienza critica maggiore rispetto a Kaufmann. Il giudice ha inoltre rilevato che la reiterazione del crimine, protrattosi per dieci anni, porta a ritenere che i due imputati non avevano una reale intenzione, espressa tardivamente stamani, di porre fine al sistema costruito per pagare in nero parte dello stipendio di alcuni giocatori dell’HCL SA. Zali ha inoltre rilevato che gli ex dirigenti non hanno agito spinti dalla passione o dall’affetto nei confronti dei colori societari, fatto sostenuto dall’avvocato Mattei nel corso della sua arringa difensiva, ma dal desiderio di vincere ad ogni costo. “L’indebita ricerca di un successo sportivo non giustifica un reato”, ha affermato il giudice ricordando una precedente sentenza per un caso di doping confermata poi in cassazione.

Al termine del processo gli imputati hanno preferito non rispondere alle domande dei giornalisti presenti. Nonostante la sentenza sia più vicina a quanto chiesto dall'accusa piuttosto che a quanto chiesto dalla difesa, che ricordiamo chiedeva unicamente una pena pecuniaria, i legali hanno affermato che, 'sebbene la sentenza sia ancora da valutare con i nostri assistiti, è probabile che si decida di non inoltrare ricorso'.

red

Foto d'apertura: Ti press/Gabriele Putzu

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