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CANTONE«Io la amavo, signor giudice, la amavo»

19.11.19 - 10:58
A processo il 56enne che uccise la moglie in un autosilo di Ascona, nel 2017. Tra lacrime in aula e accuse di tradimenti
TiPress - foto d'archivio
23 giugno 2017, Ascona, presso il posteggio sotterraneo del centro commerciale Migros.
23 giugno 2017, Ascona, presso il posteggio sotterraneo del centro commerciale Migros.
«Io la amavo, signor giudice, la amavo»
A processo il 56enne che uccise la moglie in un autosilo di Ascona, nel 2017. Tra lacrime in aula e accuse di tradimenti

LUGANO - Una tragedia efferata che inizia come una soap-opera fatta di gelosia, litigi, e sfocia nelle lacrime in aula. È iniziato stamattina alle Assise criminali di Lugano il processo al 56enne macedone che, il 23 giugno 2017, uccise a colpi di pistola la moglie in un parcheggio ad Ascona, mentre si recava al lavoro.

Dopo il misfatto - ricordiamo - l’uomo tentò di togliersi la vita, senza riuscirci. Una perizia psichiatrica disposta dalla Procura ha stabilito per lui una lieve scemata imputabilità. L’uomo è accusato di assassinio, infrazione alla legge sulle armi e altri reati minori.

Dall’interrogatorio dell’imputato, ancora in corso, è emerso che l’omicidio si è consumato in un contesto di forte discriminazione della donna. Il 56enne - di mestiere giardiniere - ha confermato di essersi sposato perché «cercavo una donna per lavorare e fare il bucato, una domestica». Il giudice Mauro Ermani ha fatto notare che l’imputato «voleva una serva, non una moglie». 

«La Bibbia dice che è giusto» ha replicato l’imputato al presidente della Corte. E non nega di avere sempre considerato la donna come un oggetto “di sua proprietà”. Costretta a chiedere il permesso del marito «persino per andare a fare la spesa», e ad abortire ben due volte «per decisione mia e della madre di lei».

Insomma un rapporto «inconcepibile se si considera che l’imputato viveva in Svizzera dal 1985» ha sottolineato il giudice. Ma in Macedonia - paese d’origine di entrambi i coniugi - «si usa così» si è giustificato l’imputato. 

La situazione è poi degenerata, con gli anni, preoccupando anche famigliari e parenti della coppia, a causa di quella che è diventata «una vera e propria ossessione di controllo» sulla donna. Una gelosia crescente, che l’ha portato «a farla licenziare dal lavoro per il sospetto che andasse a letto con i colleghi e il datore di lavoro». 

Sospetti fondati su delle “voci”, di cui l’imputato si è dichiarato tuttora convinto. «Dove c’è il fumo c’è il fuoco» ha dichiarato davanti alla Corte perplessa. Col tempo l’imputato è arrivato a sospettare persino di una relazione amorosa tra la moglie e il genero. E a scontrarsi con quest’ultimo, arrivando a minacciare la moglie con un coltello. «Io la amavo, signor giudice, la amavo e non potevo vivere senza di lei» ha dichiarato l’uomo esplodendo in lacrime in aula.

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