
Siamo andati a trovare Felix Lo Basso, il cuoco stellato che ha lasciato Milano per venire in Ticino. Qui si è inventato lo Chef’s Table
SORENGO - Nel cuore di Sorengo, lo chef Felix Lo Basso ha introdotto un concetto innovativo per la ristorazione ticinese: lo Chef’s Table. Un’esperienza che porta gli ospiti a diretto contatto con la cucina e con chi la crea. Un format diffuso in Asia, ma ancora poco conosciuto in Svizzera. Ne abbiamo parlato direttamente con lui.
Chef, per chi non conosce il concetto di Chef’s Table, può spiegarci di cosa si tratta?
«È un’esperienza che vuole abbattere la barriera tra cuochi e ospiti. È come se li invitassi a casa mia. Per tantissimi anni gli chef hanno lavorato dietro le quinte, nascosti nelle cucine, mentre ora - grazie a questo format - il cliente diventa parte del processo. Da una parte ci sono gli ospiti seduti al tavolo, dall’altra ci siamo noi, che cuciniamo, impiattiamo e serviamo direttamente. Questo crea un legame più diretto e permette ai clienti di vivere un’esperienza unica».
Questa idea le è venuta in Ticino o l’ha maturata da altre esperienze?
«L’ispirazione mi è venuta dai alcuni viaggi in Asia. Lì questa formula è molto più diffusa. Pensiamo solo ai sushi bar, dove gli chef preparano il cibo davanti ai clienti. Da noi è ancora un concetto abbastanza lontano, ma trovo che sia un modo straordinario per far vivere la cucina in maniera più autentica».
Cucinare davanti agli ospiti cambia molto rispetto a stare in una cucina tradizionale?
«Assolutamente sì! Quando sei in cucina hai il tuo spazio, i tuoi ritmi, e se succede un piccolo imprevisto, come far cadere un ingrediente, lo raccogli e vai avanti. Davanti agli ospiti è tutta un’altra cosa: ogni gesto è osservato, ogni dettaglio è sotto gli occhi di chi sta vivendo l’esperienza. Questo crea un po’ di pressione, ma anche tanta adrenalina. La cucina deve essere perfetta, non solo nel gusto, ma anche nell’esecuzione visiva».
Come funziona una serata Chef’s Table nel suo ristorante?
«Accettiamo da un minimo di un ospite fino a un massimo di dodici. Il percorso prevede nove portate principali e sei amuse-bouche, attraversando un’esperienza culinaria che dura circa due ore. Ma non si tratta solo di mangiare: è uno spettacolo, un viaggio attraverso i sapori e le tecniche della nostra cucina. Io amo osservare le reazioni degli ospiti: lo stupore, l’emozione che traspare dai loro volti mentre assaggiano un piatto per la prima volta. Questa connessione è ciò che mi ripaga di tutto il lavoro».
Il menù rimane sempre lo stesso o lo cambiate nel tempo?
«Lo cambiamo ogni mese, seguendo la stagionalità e la disponibilità degli ingredienti. Credo che sia fondamentale rispettare il ritmo della natura e utilizzare sempre prodotti freschi e di qualità. Questo ci permette di offrire ai nostri ospiti un’esperienza sempre nuova, in cui ogni visita diventa un viaggio differente attraverso i sapori».
Lei è pugliese, ha vissuto per molto tempo a Milano e ora è in Ticino. Perché questa scelta?
«Milano è una città straordinaria, ma per me non era più vita. Quando è nato mio figlio, ho sentito il bisogno di offrirgli un futuro più sereno, a contatto con la natura. Il Ticino è perfetto per questo: ha paesaggi meravigliosi, ritmi più umani e una qualità della vita incredibile».
Il Ticino si riflette anche nei suoi piatti?
«Certamente! Io credo che la cucina debba essere un’espressione del territorio. Utilizziamo verdure, carni e farine ticinesi, selezionate con cura. Ad esempio, la nostra farina arriva direttamente dal Mulino di Maroggia, una realtà locale con una grande tradizione. Per me è fondamentale valorizzare i prodotti del territorio, perché è anche attraverso il cibo che si racconta una storia».