Cerca e trova immobili
L'INTERVISTA

La 98enne del caffellatte, i ricconi svizzeri e il TT: il mito Agostini non scende dalla moto

«Gli ingegneri mi odieranno, ma oggi vincono loro, non il pilota»
Imago
La 98enne del caffellatte, i ricconi svizzeri e il TT: il mito Agostini non scende dalla moto
«Gli ingegneri mi odieranno, ma oggi vincono loro, non il pilota»
«I piloti di oggi si rinchiudono nei motorhome, per noi mangiare una cotoletta tutti insieme era normale».
SPORT: Risultati e classifiche

BERGAMO - Chi è stato il più grande pilota di moto di tutti i tempi? Se fate questa domanda a un appassionato under 50 vi risponderà, probabilmente, “Rossi”. Gigantesco in pista ed enorme pure a livello di comunicazione, Vale da Tavullia ha riscritto la storia delle competizioni a due ruote. Ha vinto gare e titoli e firmato record. Ha infiammato le folle, rendendo oceanico il seguito prima più esclusivo delle corse. Valentino ha segnato un’era è vero; cifre alla mano, non è tuttavia stato il numero uno assoluto.

Comparare campioni di epoche diverse è un esercizio difficile e spesso sbagliato; se ci si deve basare solo sugli allori, c’è però un altro riuscito a fare meglio. C’è un altro che, probabilmente, vedrà i suoi primati resistere ancora molto, molto, a lungo: Giacomo Agostini.

«La moto è sempre stata il mio grande amore - ci ha raccontato Ago - E dire che la mia famiglia non ha mai avuto a che fare con le due ruote. Un giorno, per farvi capire, mio padre, preoccupato per la mia passione, chiese a mia madre: “Ma da che parte viene questo ragazzino qui?”. In realtà non so come tutto sia cominciato, nessuno lo sa. Semplicemente, questo lo ricordo nonostante fossi piccolissimo, appena ho visto una mini moto sono salito e sono andato, come fosse la cosa più naturale del mondo. E mai nessuno mi aveva detto come fare».

E da lì è cominciata la leggenda: 123 vittorie, 159 podi, 15 titoli mondiali… Il tutto grazie anche a una cura maniacale dei dettagli. Non solo talento, anche lavoro, palestra, attenzione all’alimentazione…
«Ero preciso, puntiglioso, meticoloso… diciamo rompipalle. Ma nei box mi hanno sempre voluto un bene da morire, anche perché hanno presto capito che quelle mie attenzioni erano per il bene di tutti. Le mie squadre sono sempre state la mia seconda famiglia». 

Anche con gli avversari il rapporto fu buono: nel Tourist Trophy del 1967, per esempio, ruppe la catena in prossimità dell’arrivo, quando era in testa. La gara la vinse Mike Hailwood, che al momento della premiazione la abbracciò e le disse: “Il vero vincitore sei tu, festeggiamo insieme”.
«E io gli risposi: “Sì, ma sei tu che vai sul gradino più alto del podio”». 

Tale sportività, tale cameratismo, esiste anche nei Gran Premi di oggi?
«Non credo. Almeno, io una scena del genere faccio fatica a immaginarla. Il punto è che oggi sono tutti concentrati su sé stessi: si preparano, fanno quello che devono e poi vanno a rinchiudersi nei loro motorhome. Nonostante il grande antagonismo, ai miei tempi c’era invece maggior cameratismo. Ma era anche più facile. Oggi le squadre sono composte da venticinque persone, quando correvo io eravamo in sette. Quindi, per esempio, cenare tutti insieme, mangiarsi una cotoletta, era qualcosa di normale. Si faceva gruppo tra tutti, indipendentemente dai colori della tuta».

Cosa è cambiato rispetto al passato è la sicurezza in pista. Si sono fatti enormi passi avanti.
«Il nostro era ed è uno sport pericoloso. Io stesso ho perso molti amici. I piloti non si tirano indietro perché sono profondamente innamorati di quello che fanno. E anche un po’ incoscienti: mettono in conto il rischio. È come quando cade un aereo e il giorno dopo siamo comunque tutti in aeroporto. Si pensa sempre “a me non succederà”».

Nel 1972, dopo il terrificante incidente nel quale perse la vita Gilberto Parlotti, Agostini, da solo, si presentò davanti alla Federazione per chiedere la cancellazione del Tourist Trophy. 
«No, solo che fosse tolto dal calendario del Mondiale. In questo modo noi piloti non avremmo avuto l’obbligo di partecipare ma la gara si sarebbe potuta comunque disputare. Fu una mossa coraggiosa, la mia, che forse oggi un ragazzo non farebbe, anche perché gli interessi di tutti oggi li cura l’IRTA (International Road-Racing Teams Association). Il TT è spettacolare, ma penso fu la scelta giusta. Così facendo, da allora si sono tutelati i protagonisti ma anche la corsa stessa, evento da 300’000 spettatori che è nella storia e racchiude mille storie. Pensate che l’ultima volta che sono andato, pochi anni fa, mi ha raggiunto una 98enne del luogo che al mattino ha voluto a tutti i costi prepararmi il caffelatte. Quella donna l’avevo incontrata forse sessant’anni prima nello stesso posto. “Ti ricordi di me?”, mi ha detto appena ci siamo trovati…».

Competizioni eroiche di altri tempi. Ma la moto di oggi ha ancora qualcosa in comune con quella degli anni 60’-70’?
«I cambiamenti sono stati tanti, cominciando, come detto, dalla sicurezza. Per quella abbiamo lavorato tanto e sono stati ottenuti risultati molto importanti: ora è difficile farsi veramente male. Una cosa che non mi piace, per la quale mi lamento spesso, è che c’è troppa elettronica. Adesso vincono gli ingegneri, che mi odieranno, non il pilota. E questo è un peccato, perché il tifoso vuole vedere la persona eccezionale. Si emoziona per chi riesce a portare a termine grandi imprese. Va matto per Tomba, per Merckx, per Alì, per Schumacher, per Valentino, anche per Agostini. Credo però che l’abbiano capito: ci sarà un cambiamento nei regolamenti e dovrebbe essere nuovamente dato più peso all’uomo che al mezzo». 

Quanta Svizzera c’è nella vita di Agostini?
«Poca purtroppo. Ogni tanto vengo nel vostro Paese per delle riunioni, per delle manifestazioni. Il problema è che per decenni da voi non si è potuto correre. Un bell’autodromo adesso invece servirebbe, da riempire con dei ragazzi innamorati dei motori. Lì si potrebbero sfogare quasi senza rischi invece che correre per strada. Chiedete a qualcuno dei vostri ricconi di costruirne uno».

A 82 anni compiuti, cosa c’è nel futuro di Agostini?
«La moto, ovviamente, tutti i giorni. Domani (oggi per chi legge, ndr), per esempio, devo salire in sella e andare a Milano. E poi il mio museo. Per ora è qui a casa mia ma, sinceramente, non ho più spazio: ci sono centinaia di cimeli che non riesco a esporre. Così ho deciso di allargarmi: ho comprato una proprietà e la stiamo attrezzando. Ci vorranno ancora due-tre mesi ma poi la mia storia sarà pronta per essere raccontata al pubblico. Trofei, foto, caschi, tute… non voglio sembrare egoista, ma a differenza di altre esposizioni, questa sarà monotematica. Non metterò nulla di altri piloti».

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
Naviga su tio.ch senza pubblicità Prova TioABO per 7 giorni.
COMMENTI
 

lupoalbero 1 gior fa su tio
test

G 2 gior fa su tio
UN GRANDE CAMPIONE 👍

bobifurgo 2 gior fa su tio
Grande Ago💪🏍️👍
NOTIZIE PIÙ LETTE