Prima dei fatti di Lodrino, in Ticino prostituzione e sangue si erano già mescolati: i precedenti del Gabbiano e dei monti di Gorduno
Luci rosse e sangue. Anche in Ticino, il triste binomio non è purtroppo nuovo alle cronache. Il fatto avvenuto lo scorso fine settimana in un rustico sui monti di Lodrino - dove una 21enne rumena, legata al mondo della prostituzione, è stata uccisa nella notte da un 27enne che ha in seguito tentato il suicidio - ha alcuni lontani precedenti. Un paio di questi, in particolare, ebbero grande risonanza mediatica in un cantone non abituato a quel tipo di violenza. Perché qua, si pensava ancora, certe cose non succedono.
A Loreto, in una pozza di sangue
Per tornare al primo occorre riavvolgere le pagine del calendario di quasi un quarto di secolo, fino all’aprile del 2000. Era un Ticino diverso. Un Ticino in cui la prostituzione aveva trovato una strada spianata per allontanarsi dalle zone di confine e “mettere su casa” nel cuore residenziale di Lugano.
La notte di domenica 16 aprile, mentre l’attenzione generale era totalmente focalizzata sulle elezioni comunali fissate proprio per quel giorno, in una stanza al terzo piano dell’allora albergo Il Gabbiano, nel centro del quartiere di Loreto, viene rinvenuto, in una pozza di sangue, il corpo senza vita di una prostituta brasiliana. Si chiamava Marcia Caron. Aveva 35 anni. E il suo assassino le aveva squarciato la gola utilizzando un bicchiere rotto.
Il giallo si risolse in poco più di ventiquattro ore, quando l’autore - un operaio italiano, al tempo 29enne - si presentò in Questura a Como per costituirsi, ricostruendo di fronte agli inquirenti l’accaduto: una violenta discussione, il pestaggio, il tentativo di strangolarla e, infine, il colpo mortale infertole con il bicchiere. Il tutto perché lo aveva sorpreso mentre le rubava dei soldi. Di lì a poco, le autorità misero i sigilli sia al Gabbiano che al vicino bar Tortuga - una sorta di “anticamera” per la clientela del primo - che non furono mai più riaperti. E il caso alimentò anche polemiche in ambito politico dato che il proprietario dell’immobile che ospitava l’hotel era Giuliano Bignasca, eletto proprio quel 16 aprile in Municipio a Lugano.
Il “cold case” dei monti di Gorduno
Ben più oscuro - e tale è rimasto, anche a oltre trent’anni di distanza - è invece il secondo caso. La notte è quella dell’8 marzo del 1993. Il corpo di Emma Luisa Parra, cittadina della Repubblica Dominicana non ancora trentenne, viene ritrovato in mezzo al fogliame sui monti sopra Gorduno; parzialmente svestito e coperto con un impermeabile. È stata freddata con un colpo di pistola alla tempia.
La giovane, che risiedeva in Svizzera da circa un anno, lavorava al Caribe di Muralto, un locale a luci rosse situato di fronte alla stazione. Quella sera, viene avvicinata da due clienti. Non è sola, con lei c’è un’amica, che però a un certo punto riuscirà a fuggire dall’auto. Per Emma invece nulla da fare. E le indagini, così come il filone processuale che ne seguirà, non riusciranno mai a dare un nome e un volto ai responsabili di quello che è diventato uno dei - non pochi - “cold case” ticinesi.