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DIVERSIPorzia Zara: «Praticare sport vuol dire anche saper gestire giornate di sconforto»

22.03.22 - 18:30
Porzia Zara, psicologa dello sport: «Sono molteplici i motivi per i quali una persona decide di lasciare lo sport».
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Porzia Zara: «Praticare sport vuol dire anche saper gestire giornate di sconforto»
Porzia Zara, psicologa dello sport: «Sono molteplici i motivi per i quali una persona decide di lasciare lo sport».
L'azione benefica dello sport non riguarda soltanto la salute del corpo, ma anche (e soprattutto) quella della mente.
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LOCARNO - “Lo sport è importante e favorisce il benessere psicofisico”. Tante volte sentiamo questa affermazione e in effetti non c'è di meglio che l'attività motoria per aiutare corpo e mente a sentirsi in forma per affrontare la quotidianità e le sfide che la vita ci "offre". Sport, qualsiasi esso sia, fa rima con benessere. Non sempre però, poiché a volte può anche fare rima con stress, soprattutto quando i risultati e l'ottenimento di certe performance diventano la priorità. Insomma, un terreno molto vasto dove sono molteplici gli elementi che possono fare la differenza. Perché alcuni decidono di gettare la spugna? Perché altri ce la fanno? In Ticino gli esempi di atleti che hanno raggiunto risultati eccezionali non mancano.

Abbiamo affrontato il tema con Porzia Zara, psicologa dello sport e psicoterapeuta. «Sono molteplici i motivi per i quali una persona può decidere di lasciare la propria attività sportiva. Generalmente si possono verificare abbandoni a causa di allenamenti troppo tecnici e ripetitivi e quindi poco motivanti. Come pure un agonismo eccessivo da parte dei coach o delle società, aspetto che potrebbe contribuire alla perdita della dimensione ludica e al piacere di praticare sport. Inoltre, possono subentrare altri fattori come la difficoltà di far collimare gli impegni scolastici e sportivi non riuscendo a gestire entrambi i carichi di lavoro e di pressioni che i due contesti richiedono. Un altro motivo è relativo a una condizione di esaurimento psicofisico dato da richieste eccessive di allenamenti e di competizioni che potrebbe portare alla scelta di dire basta».

C'è una categoria di persone più propense all'abbandono?
«Non è da sottovalutare la maggior prevalenza di abbandoni nelle ragazze rispetto ai ragazzi, a causa soprattutto dall’entrata anticipata nella pubertà rispetto ai coetanei maschi. Durante l'adolescenza le donne si ritrovano a dover gestire un cambiamento fisico importante e a dover familiarizzare con un corpo che non riconoscono e non risponde più come prima. Le prestazioni potrebbero subire cali di performance con ripercussioni sull’autostima e sulla motivazione».  

In pieno lockdown – ma in generale durante la pandemia – tante persone hanno smesso di fare sport, in alcuni casi a causa delle restrizioni e chiusure. C'è anche chi non ha più ripreso la propria attività: in generale la società si è seduta?
«Diciamo di sì, qualcuno ha deciso di non praticare più il proprio sport. In alcuni casi per forza maggiore visto che le condizioni sono cambiate e alcuni luoghi, come ad esempio le palestre, hanno chiuso. Anche gli sport di gruppo hanno dovuto mordere il freno per via della pandemia, che ha fatto rima con maggiori limitazioni (distanze, mascherine, ecc). Alla luce di ciò alcuni hanno scelto di reinventarsi (camminate, mountain bike, corsa, ciaspole, ecc.), altri invece si sono diretti verso attività come possono essere gli exergame (fare esercizio fisico attraverso app o giochi online comodamente da casa), altri ancora hanno invece preferito virare su nuovi hobby».

Come hai sottolineato in precedenza, in giovane età conciliare scuola e sport è spesso problematico. Qual è la miglior ricetta per gestire l’enorme carico di impegni?
«Sì, proprio le pressioni possono essere un fattore decisivo nella decisione di abbandonare una pratica sportiva. Queste possono derivare direttamente dalla scuola per il carico di studio o per un basso rendimento o da disposizioni dei genitori. Rispetto alle strategie che possono essere d'aiuto all’atleta c’è sicuramente quella di accompagnare il ragazzo a sviluppare una buona capacità di pianificazione e di organizzazione degli impegni e delle giornate. Questo significa prendere in considerazione – oltre agli impegni scolastici e sportivi – anche i momenti di svago, che sono fondamentali per equilibrare il tutto in particolare in una fase di vita adolescenziale in cui le relazioni sono fondamentali. In questo la famiglia ha un ruolo rilevante per agevolare questo processo». 

Lara Gut-Behrami, Ajla Del Ponte, Noè Ponti: sono solo tre esempi nostrani di sportivi che ce l'hanno fatta. Una ricetta perfetta evidentemente non c’è, ma quali possono essere le tappe che hanno portato questi atleti a non mollare mai e a raggiungere risultati incredibili?
«Caratteristiche come la costanza e la determinazione sono elementi basilari. L’importanza di avere obiettivi chiari e misurabili, accompagnati da una forte passione per lo sport praticato, è sicuramente fondamentale. Un’altra caratteristica importante è relativa alla capacità che un atleta ha nel sapersi rialzare nei momenti più bui, trovando la forza e il coraggio di andare avanti. Praticare sport vuol dire anche saper gestire giornate di sconforto e di difficoltà».

È proprio quest'ultima la chiave del successo?
«Esattamente. L’atteggiamento che si ha di fronte a un errore o una sconfitta. Come già accennato sopra, il ruolo che può avere un coach o un genitore in questo delicato momento è fondamentale nel sostenere il ragazzo e permettergli di ripartire». 

Quali consigli possiamo dare a quelle persone che sono sul punto di abbandonare?
«Piuttosto che dare consigli e suggerimenti il nostro ruolo è quello di accompagnarli a comprendere quali possano essere le motivazioni e le situazioni che li spingono a voler abbandonare la pratica sportiva. In questo modo si può comprendere in maniera più consapevole quali siano i disagi e gli stati d’animo sottostanti a questa scelta. Può essere importante per un atleta sapere che c’è la presenza di qualcuno che lo ascolti senza giudizio».

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