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«Ho 89 anni, ma non sono rimbambito: così mi sento emarginato»

Don Mino Grampa, vescovo emerito, ospite di TioTalk: «La Chiesa è indietro di 200 anni. De Raemy? Nulla contro di lui. Però ci sono preti ticinesi validi per quel ruolo».
«Ho 89 anni, ma non sono rimbambito: così mi sento emarginato»
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«Ho 89 anni, ma non sono rimbambito: così mi sento emarginato»
Don Mino Grampa, vescovo emerito, ospite di TioTalk: «La Chiesa è indietro di 200 anni. De Raemy? Nulla contro di lui. Però ci sono preti ticinesi validi per quel ruolo».

SAVOSA - «La crisi delle vocazioni? Dipende dal contesto in cui si cresce. Io sono cresciuto in un ambiente di fede. Era il primo dopoguerra. C'era la voglia di rinascere. Adesso i valori sono quelli di Trump, dell'apparenza e del consumismo. È normale che non ci siano più tante vocazioni». Monsignor Piergiacomo Grampa, vescovo emerito che ha da poco toccato il traguardo dei 65 anni di sacerdozio, è esplicito. Diretto. Chiaro come da sua indole. Ospite di TioTalk fa una radiografia arguta della situazione attuale della Chiesa cattolica. «Cito il cardinale Martini. La Chiesa è indietro di 200 anni».

In cosa non si è saputa adattare ad esempio?
«Alle esigenze e ai cambiamenti della società. Si parla tanto di sinodo che poi significa "camminare insieme". Ma la Chiesa non sta camminando davvero al passo coi tempi. Bisogna anche essere capaci di cambiare rotta».

Ci faccia qualche esempio concreto.
«Io sono sempre stato un sostenitore del battesimo da piccoli. Col passare del tempo però mi interrogo. Ha davvero senso battezzare un bambino che poi non viene più seguito? Ha davvero senso far fare la prima comunione a un ragazzino che la domenica dopo non andrà più a messa? Bisogna rompere questi schemi».

E nel frattempo è arrivato anche un Papa piuttosto conservatore.
«Ho fiducia. Leone XIV non ha sicuramente l'imprevedibilità di Bergoglio. Però appartiene a un territorio, l'America del nord, in cui il cattolicesimo stava davvero perdendo quota. La sua elezione può essere importante».

Il Ticino, dopo le dimissioni di Monsignor Lazzeri, è senza un vescovo fisso da anni. Come vive questa situazione?
«Non riesco a capire. Non ho nulla contro Monsignor Alain De Raemy. Ma se le regole dicono che quel ruolo deve essere ricoperto da un ticinese non si comprende come mai si continui a seguire un'altra via. Eppure di preti ticinesi in gamba che potrebbero fare il vescovo ce ne sono».

La Chiesa negli ultimi anni è stata travolta dallo scandalo degli abusi sessuali. Qual è il suo sentimento?
«È una pagina nerissima. È qualcosa di orribile che va condannato. In passato si è agito in maniera inadeguata: un prete che sbagliava veniva spostato da un posto all'altro. Portando con sé i suoi disagi e le sue pulsioni. Sarebbe servita più fermezza. E la Chiesa ha i suoi rimproveri da farsi. Detto questo non mi piace che si faccia di ogni erba un fascio. È inaccettabile sentire allusioni e frecciatine secondo cui tutti i preti sarebbero pedofili o abusatori sessuali».

Da tempo si discute dell'utilità del celibato nella Chiesa cattolica. Ha ancora senso?
«Anche su questo la Chiesa non ha saputo adattarsi. Praticamente tutti gli altri sacerdoti cristiani possono sposarsi. Solo i cattolici no. Anacronistico. E lo dico pur avendo vissuto bene il mio celibato. Non senza fatica, va detto. Perché è comunque una rinuncia. Il fatto di avere una relazione sentimentale non impedirebbe in alcun modo al sacerdote di svolgere bene il suo compito».

Le fa paura l'avanzata di altre religioni come ad esempio quella islamica? 
«Io sono per l'accoglienza. È chiaro che noi dobbiamo interrogarci profondamente su cosa non va. Le chiese vuote fanno male. E la responsabilità principale resta dell'istituzione ecclesiastica che continua a promuovere un modo di parlare difficile e una maniera di agire rigida e dogmatica. E poi certo, mancano i genitori che danno ancora il buon esempio. Si pretende tanto dai ragazzi, ma la famiglia non c'è più, è tutta frammentata»

Nel suo libro "Per chi crede e per chi cerca" lei cita a più riprese sua madre Veronica. Che ruolo ha avuto nella sua vita?
«La famiglia, già: forse l’ho idealizzata proprio perché mi è mancata. Sono andato in collegio a 9 anni perché primo di quattro figli. Mia mamma aveva un negozio da gestire. In collegio non ho sentito la lontananza da casa, non ho mai sofferto, ma mi è mancata la mamma: lei non si accontentava del lavoro, era una donna di sentimento, di poesia, sapeva dipingere, cercava il bello, era una creatura splendida. Quando gli ultimi anni la visitavo, una volta alla settimana, mi commuoveva sentirmi dire: “Siediti ancora un momento, resta qui vicino alla tua mamma”».

A proposito di collegi... Monsignor Grampa è stato rettore del Papio di Ascona per decenni. Che ricordi ha?
«Molto belli, di amicizie diventate rapporti di una vita. Non sono mancati gli errori, ma il numero degli allievi, i risultati scolastici, l’organizzazione sperimentata dicono che furono anni di successi. Anni in cui il Papio aveva più di 400 studenti. Anni intensi. E senza lasciare debiti».

Torniamo al presente. Come va la sua vita da vescovo emerito?
«Mi hanno fatto smettere a 77 anni per raggiunti limiti di età. Anche se io sarei andato avanti. A volte mi sento isolato, escluso. Perché in alcuni casi non mi lasciano più celebrare nemmeno le cresime? Ho 89 anni, ma non sono un rimbambito. Non è la mia vocazione quella di fare il monaco. Ho ancora tanta energia».  



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