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Uccidere senza alcuna empatia: ecco l'uomo che guarda nel cervello dei mostri

Franco Posa è un criminologo clinico di fama internazionale. A dieci anni dal massacro di Rupperswil, racconta la sua missione: «Molti autori di reati gravi non sono pazzi. Sono semplicemente criminali».
Uccidere senza alcuna empatia: ecco l'uomo che guarda nel cervello dei mostri
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Uccidere senza alcuna empatia: ecco l'uomo che guarda nel cervello dei mostri
Franco Posa è un criminologo clinico di fama internazionale. A dieci anni dal massacro di Rupperswil, racconta la sua missione: «Molti autori di reati gravi non sono pazzi. Sono semplicemente criminali».

SAVOSA / BELLINZONA - Sono passati dieci anni dall'orrore di Rupperswil. Il 21 dicembre del 2015 un uomo di 33 anni si infila in un'abitazione del villaggio argoviese. Terrà in ostaggio quattro persone per poi ucciderle e bruciarle. Prima però violenterà il ragazzino di cui era l'allenatore di calcio. «Devastante – rammenta il criminologo clinico Franco Posa, ospite a TioTalk –. Ma tristemente spiegabile».

L'uomo dopo la strage continuò a fare una vita normale per mesi. Fino al suo arresto. Apparentemente una persona insospettabile.
«Di chi commette gesti orribili si sente spesso dire che "era un bravo ragazzo". È una definizione che diamo per ciò che vediamo, non per ciò che sappiamo. Una specie di autodifesa, per distanziarci. Gli autori di crimini così efferati vengono definiti pazzi dall'opinione pubblica. Ma nella maggior parte delle situazioni non è così. Lo dicono le statistiche».

Parliamone.
«Solo tra il 5 e il 10% dei "mostri" ha una storia psichiatrica nota al momento del crimine. Le motivazioni di un crimine nascono da tanti elementi: sociale, relazionale, sportivo, culturale. Dagli insuccessi personali. Dalla mancanza di empatia. Mancare di empatia però non significa avere gravi problemi psichiatrici. Stiamo parlando di criminali. Non di matti».

La favola che diventa orrore. Accade ovunque. Anche nella nostra realtà. Si è mai chiesto perché l'essere umano può essere così cattivo?
«Me lo chiedo tutti i giorni. Quanto il cervello umano è libero nel prendere una scelta? Oggi possiamo sapere almeno in parte cosa accade nel cervello di chi prende decisioni di tipo criminale. È un'attività sperimentale. Io e i miei collaboratori tentiamo di comprendere cosa capita nel cervello nel momento in cui si passa a una determinata azione».

Ci fa un esempio concreto di quello che analizzate?
«Abbiamo studiato quanto costa la menzogna al nostro cervello in termini energetici. Dire una bugia significa attivare il cervello con una quantità di energia incredibile. Ci chiediamo dunque quali siano i sistemi per "saltare" questo spreco di energia e arrivare così a compiere azioni efferate».

Lei lavora un po' in tutto il mondo. Non solo in Svizzera. Cosa la spinge a fare questo mestiere?
«La bellezza di occuparsi di una materia in continua evoluzione. Quello che facciamo adesso, un paio di anni fa era imprevedibile. Occupandomi anche di patologia forense, mi capita di trattare la riproduzione di ferite di vecchia data. Oggi riusciamo a riprodurre la sezione di una povera vittima in modo virtuale. Questo dà speranza. Anche per i casi mai risolti».

In conclusione: cosa pensa della moda del True Crime?
«Sono scettico. Banalizza tecniche e metodi. E crea un effetto collaterale nella gente: tutti si sentono autorizzati a esprimere la loro opinione».

Guarda l'intervista integrale e gli altri episodi di TioTalk su Tio.ch, oppure sul nostro canale YouTube.

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