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Bugie natalizie forzate: «Mia figlia non sa che lavoro faccio»

Il triste destino di diverse lavoratrici del sesso. Tornano a casa per le festività, ma sono costrette a mentire ai propri cari. Le testimonianze raccolte in un locale.
Ti-Press (archivio)
Bugie natalizie forzate: «Mia figlia non sa che lavoro faccio»
Il triste destino di diverse lavoratrici del sesso. Tornano a casa per le festività, ma sono costrette a mentire ai propri cari. Le testimonianze raccolte in un locale.

BELLINZONESE - Hanno le valigie già pronte. Tornano a casa, nei loro Paesi d'origine. E per tutte le festività dovranno indossare una maschera. Per tante lavoratrici del sesso attive in Ticino quello tra Natale e Capodanno è un periodo psicologicamente complicatissimo. «Mia figlia non sa che mi prostituisco – spiega una 40enne brasiliana –. Non mi rispetterebbe più se ne dovesse venire a conoscenza. Lei pensa che io sia in Svizzera a fare la barista». 

«Questo mestiere non mi piace» – Ci troviamo in un locale a luci rosse del Bellinzonese. Manca una manciata di giorni a Natale. La donna fa un lungo sospiro e abbozza un sorriso amaro. «È dura mentire a una figlia. La paura di perderla però è troppo grande. Questo mestiere non mi piace, anche se lavoro in un locale sicuro, in cui sono rispettata. Mi sono detta che lo farò ancora per un po' e poi basta. Metto da parte dei soldi per avere un futuro più dignitoso. È vero che avrei potuto fare un altro lavoro. Ma con questo si guadagna più in fretta».

«Abituata a mentire ai genitori» – Pochi metri più in là c'è una ragazza rumena. Anche lei durante le feste fingerà di avere un altro mestiere. Come ogni anno. «Sono abituata a mentire ai miei cari – ammette –. Non è una cosa bella. Lo so. Natale e Capodanno li passo coi miei genitori in Romania. Loro non sanno che mestiere faccio. E non lo devono sapere assolutamente. Penso che mi toglierebbero la parola. È triste per me non potere dire loro la verità. Però non li posso deludere».

Col fiato sospeso – Anche una 30enne della Polonia è pronta a tornare a casa per qualche settimana. Il copione più o meno è il medesimo. «Quando fai un mestiere così – dice – devi fare i conti con parecchi pregiudizi. Vivi un po' sempre col fiato sospeso. Tra qualche anno vorrei smettere. Non mi vedo ancora a lungo in questo settore. Voglio essere me stessa con le persone che amo».

Cuore e sentimenti – Nel locale c'è anche una simpatica lettone. Da una parte non nasconde un velo di tristezza, dall'altra cerca di buttare tutto sull'ironia. «Durante le feste qui arrivano tanti uomini soli – sussurra –. Io li chiamo "zitelloni". Mi fanno tenerezza. Magari mangiano a pranzo con la loro mamma e al pomeriggio vengono qui in cerca di compagnia. Non per forza cercano un rapporto sessuale. Quello semmai accade a Capodanno. Lì c'è la coda. Perché c'è chi pensa che "se non lo fa lì, poi non lo fa per tutto l'anno". Avete in mente che c'è quel famoso modo di dire... Noi comunque durante le feste siamo in poche. Tante vanno a casa perché vogliono stare con la loro famiglia. È giusto che sia così, siamo persone come le altre, con sentimenti e cuore. Anche se fa male dovere dire bugie alle persone che si amano di più».

Quella scarsa voglia di parlare – Intanto entra nel locale un uomo. È un cliente abituale della 40enne brasiliana. «Scusate, devo andare. Lui ha preso appuntamento con me. Buon Natale», ci dice gentilmente. Al bancone c'è una giovane che le feste le trascorrerà in Svizzera. Lavorando. «Saremo in poche e ci sarà richiesta – precisa –. Non mi va tanto di parlare di questi giorni che mi aspettano. La mia famiglia è lontana. Non sa nemmeno cosa faccio qui in Svizzera. Tutti pensano che io lavori in un altro ambiente. Non me la sento nemmeno di dirvi da dove arrivo. Non offendetevi, è che un po' la vivo male questa cosa».

L'esperta – Storie che non sorprendono Vincenza Guarnaccia, consulente di Zonaprotetta. «Quello del non potere dire che lavoro si fa – afferma – è un problema diffuso tra le lavoratrici del sesso. Purtroppo regna ancora la paura dello stigma. Noi di Zonaprotetta forniamo a queste persone momenti di ascolto in cui possono confidare e sfogare la loro frustrazione. È un aspetto che permette loro di essere riconosciute come donne con una vita affettiva e famigliare. Sono persone che spesso vivono una solitudine intensa e che andrebbero capite il più possibile anche dall'opinione pubblica».

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