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LUGANO/NAIROBI

«Con le mie foto vi racconto il Kenya che resiste a Covid e siccità»

Il fotografo luganese Michel Passos Zylberberg è stato in Africa per un'esperienza tra volontariato e scoperta
Foto Michel Zylberberg
«Con le mie foto vi racconto il Kenya che resiste a Covid e siccità»
Il fotografo luganese Michel Passos Zylberberg è stato in Africa per un'esperienza tra volontariato e scoperta
Il suo lavoro confluirà in un libro, il cui ricavato sarà destinato a sostenere i progetti della Onlus Karibuni nella terra dei masai
LUGANO/NAIROBI - Non è un Kenya da cartolina quello che è andato a cercare il fotografo di architettura svizzero-brasiliano Michel Passos Zylberberg. Con il suo obiettivo il professionista luganese non si è infatti spostato a cac...

LUGANO/NAIROBI - Non è un Kenya da cartolina quello che è andato a cercare il fotografo di architettura svizzero-brasiliano Michel Passos Zylberberg. Con il suo obiettivo il professionista luganese non si è infatti spostato a caccia di leoni o rinoceronti, ma ha potuto immortalare un’altra Africa. Quella dei villaggi flagellati da un Covid ignoto e da una siccità che da un anno e mezzo azzanna la savana. Due piaghe anche per il locale turismo. 

Ne nascerà un libro di pensieri, testimonianze e immagini raccolte durante la decina di giorni in cui, a metà ottobre, il 41enne ha percorso il Paese del Corno d’Africa accompagnato da un amico fotografo, Fulvio Pettinato, e da Kanai, una guida del popolo Masai. «Ho vissuto un’esperienza molto forte in luoghi abbastanza simili al mio Brasile. Mi sono sentito in un certo senso a casa» racconta Michel a Tio/20Minuti. È stato un viaggio tra avventura e volontariato visto che a Nairobi i due fotografi sono giunti su invito della Onlus italiana Karibuni, presieduta da Gianfranco Ranieri.

«A parte un paio d’ore di turismo, nel resto del tempo - continua l'intervistato - abbiamo visitato i villaggi dove la Onlus ha realizzato scuole, un ospedale e altre strutture. Un po’ per dare una mano, ma anche per fotografare i progetti finanziati dai benefattori. È stata una soddisfazione anche essere nominato sul campo “ambasciatore in Svizzera” dell’associazione». 

Com’è oggi la situazione in Kenya dal profilo della pandemia?
«Nelle grandi città c’è l’obbligo della mascherina e la polizia controlla. Al di fuori invece nessuno sa esattamente come evolvono i contagi. Si muore come prima, ma la gente non sa per cosa. La credenza negli stregoni è ancora molto forte, di solito vanno prima da loro e solo dopo si affidano alle cure mediche».

Oltre al Covid cos’altro colpisce nei luoghi che ha visitato?
«La grande siccità. C’è bisogno di verde e difatti uno dei prossimi progetti dell’associazione consisterà nel piantare 25mila alberi nei dintorni di una scuola. È più di un anno che non piove. Laggiù sono abituati a terribili alluvioni intervallate da interminabili periodi secchi».

Avete visto anche il Kenya dei safari e dei parchi naturali?
«Ci siamo informati ma ci hanno detto che nei parchi a causa degli animali morti per la mancanza d’acqua la situazione è desolante. Da quasi due anni tutto è chiuso e molti operatori turistici del posto non sono più attivi. Però la natura selvaggia mi affascina e siccome la nostra guida Masai mi ha invitato a tornare con la mia famiglia nei loro villaggi tra Kenia e Tanzania, beh, questa molto probabilmente sarà una delle prossime avventure».

Girando invece nelle grandi città si corrono dei rischi?
«Nei piccoli centri non c’è violenza. A Mombasa invece è sconsigliabile girare di notte. Ma la mia paura più grossa sono stati i poliziotti che in Kenya sono in gran parte corrotti. Ho sentito tante volte dire che non appena ti fermano per strada ti chiedono dei soldi. Per la gente è perciò normale avere sempre in tasca del denaro come lasciapassare. È un po’ triste, ma dipende anche dai salari bassissimi che gli agenti ricevono».

Che contatti avete avuto con la gente del posto?
«Negli ultimi cinque giorni abbiamo noleggiato un Tuk Tuk e con questa Ape abbiamo portato cibo e materiale scolastico alle famiglie nei villaggi. Abbiamo incontrato solo brave persone». 

Dal Ticino all’Africa anche per fare il fotografo?
«Qui in Europa lavoro principalmente con la fotografia di architettura e interni. Ho avuto modo di collaborare con grandi Studi come Renzetti & Partners, Botta, Guscetti e altri. Questo genere di lavoro solitamente è molto impersonale, mi mancava il contatto con le persone e anche vivere una dinamica simile alle mie radici. Il Kenya mi ha ricaricato le batterie, oltre ad avermi regalato tantissimi sorrisi e sguardi indelebili. E anche ad avermi insegnato a relativizzare un po’ i problemi, che da noi sembrano sempre enormi. Non è retorica dire che siamo davvero fortunati e che avremmo i mezzi per aiutare tantissimo l'Africa».

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