Franco Cavalli, tante vite in una


Il famoso oncologo si racconta in un libro autobiografico. «La profezia di Rosa Luxemburg si sta avverando: senza una società socialista c'è solo barbarie. Basta dare un'occhiata al mondo di oggi»
SAVOSA - Il suo cammino è quello di un uomo che ha sempre assolto ai compiti della vita con uno spirito di abnegazione non comune, un'attitudine messa in mostra soprattutto in quei campi di interesse - la medicina e la politica - che sin da giovane lo hanno chiamato a sè.
Franco Cavalli, oncologo di fama internazionale e pasionario di partito, torna in libreria con un'opera autobiografica dal titolo "Tante vite in una", per le edizioni di Casagrande.
Professore, anche gli oncologi hanno degli idoli: lei scrive che ha sempre cercato di ispirarsi a un certo Virkow, un patofisiologo tedesco che diceva che «la politica non è altro che la medicina applicata alla società». Viene facile obiettare che le cure però non sempre sono indicate e fanno bene, anzi a volte producono degli effetti indesiderati. Quali, a suo avviso, i tre errori più grandi compiuti dalla politica di questo Paese negli ultimi 10 anni?
«Uno: tutto il lavoro fatto per peggiorare il sistema delle casse malati, non risolvendo il problema dei premi che oggi sono uguali per tutti e che quindi strozzano la classe media medio bassa. Un altro problema è questa tendenza della politica federale a un "risparmismo" che non ha senso, perché il debito della Svizzera rispetto a quello degli altri Paesi è irrisorio e risparmiare quando non è necessario fa male soprattutto a chi non ha e difatti dico che la povertà è aumentata negli ultimi anni. Il terzo grosso sbaglio è stato il tipo di rapporti con l'Unione Europea, cioè il fatto di aver rifiutato questo accordo quadro senza avere un piano B».
Lei batte spesso i pugni nel dibattito politico, usare toni forti premia?
«Dal mio punto di vista sicuramente non sono eccessi. Anzi, considero una cosa giusta dire pane al pane e vino al vino, mentre spesso in politica si usano circonlocuzioni che la gente poi non capisce per poi fare i cavoli propri. Io sono convinto che in politica bisogna parlare chiaro e mantenere quello che si è detto, cosa che la maggior parte dei politici poi spesso non fa».
Si è sempre definito un rivoltoso, fortemente critico verso questo tipo di società. Cita anche la profezia di Rosa Luxembourg, "O socialismo o barbarie". Solo che oggi il mondo vive, pensa e soprattutto vota tutto a destra. La musica in politica cambierà? Ha speranza?
«Innanzitutto io sono un rivoltoso nel senso che mi ribello a questa società ingiusta. Non che io vada in giro a spaccare vetrine e o incendiare auto ecco. Di carattere sono per la non violenza insomma. Se è vero che in questo momento il bilanciere sta andando a destra, la storia insegna ad esempio che dopo la Seconda guerra mondiale il pendolo si è spostato a sinistra. Vedendo al disastro del mondo di oggi, io sono assolutamente convinto che o arriviamo a una società socialista o altrimenti andremo sempre di più verso la barbarie. Oltre alle guerre, lo sterminio di Gaza, guardi cosa sta succedendo alla più grande democrazia del mondo, parlo degli Stati Uniti, in mano a uno psicopatico».
Accennava a Gaza, la barbarie che viene lasciata fare...
«Ci sono tutte le caratteristiche del genocidio. Non c'è dubbio che il governo attuale israeliano è composto da suprematisti bianchi, razzisti, gente fascista che è convinta che i palestinesi siano una razza inferiore e diversi dei loro ministri l'hanno anche detto. E Netanyahu si rifà a una corrente che era stata fondata da un certo Jabotinsky che negli anni '30 aveva deciso che bisognava addirittura collaborare con Hitler».
Nel suo libro lei a un certo punto scrive che se fosse nato palestinese e avesse subito il disagio psichico provocato dalla sottomissione coloniale non avrebbe potuto escludere di diventare un terrorista. Una dichiarazione non proprio "pacifica"...
«Mi rifaccio agli studi di Frantz Fanon, psichiatra nato nelle Antille, che ha descritto molto bene nei suoi libri la perdita di umanità nei colonizzati a seguito dei maltrattamenti che vengono loro inferti dai colonialisti. Se la gente viene maltrattata giornalmente, continuamente, alla fine è disumanizzata e non ha più nessuna ragione di vivere perché non spera in niente. Questa disumanità la porta a dire che l'unica cosa che posso ancora fare è sparare a quelli che mi hanno fatto diventare così».
Ha "rischiato" di farsi prete. Frequenta il Papio, poi scatta la ribellione: la severità e il rigore della Chiesa ma anche le accuse di abusi nei confronti di un sacerdote del collegio le hanno fatto cambiare idea.
«Ho frequentato il Papio non perché io volessi, ma perché essendo di Ascona e provenendo da una famiglia di condizioni modeste, in quel momento ci aveva un solo liceo il Ticino che era quello di Lugano. La mia famiglia non avrebbe potuto mandarmi e così finii lì. Quell'episodio certo mi aprì gli occhi, ma anche quella repressione fortissima che vigeva nel collegio, dove davano anche certe bacchettate sulle mani che non le dico»
A proposito di Chiesa, le piace Leone XIV? È un Papa anti-americano, dovreste andare d'accordo...
«Quando è apparso e si è commosso mi ha dato una nota molto positiva, perché io penso che sia giusto commuoversi, ecco forse perché io tendo spesso a commuovermi. Ho subito pensato a quello che da tempo penso, cioè che la Chiesa cattolica ha un'abilità politica enorme: mi sono detto, hanno scelto l'anti-Trump».
Lei è un medico affermato, un oncologo di fama internazionale: ha curato anche degli affiliati di mafia, mi riferisco a uno degli esattori di Cosa Nostra, Nino Salvo. Il signore in questione ha preteso di pagarla per la sua opera di cura e con quei soldi lei ci ha comprato della strumentazione medica per alcuni ospedali in Sudamerica. Non l'ha turbata un po' il fatto di ricevere del denaro da quelle mani?
«In linea di principio penso che di fronte a qualcuno che viene a chiedermi l'aiuto professionale io sono obbligato come medico a farlo. Poi il fatto che i loro soldi guadagnati in modo disonesto io li trasformassi in aiuto, sgombrava il campo da qualsiasi dubbio. Un conto se li avessi usati per me...ma andavano per un buon fine».
Fra poco si rifugerà a Zante, nel libro ne parla. Dalla sua casa intravvede Itaca, l'Isola di Ulisse: da lì è più facile pensare al viaggio della vita?
«La vita ho difficoltà a definirla. Quando ho perso mio figlio, come scrivo nel libro, pensavo di avere perso la paura della morte. Però poi quando ho avuto dei problemi di salute mi sono accorto che non era proprio così. Di certo fino alla fine dei miei giorni continuerò a pormi delle domande».