Esclusi e umiliati perché dicono le cose come stanno

Il problema del mobbing travolge tanti lavoratori ticinesi. E la situazione locale non aiuta. «Eppure il capo ha l’obbligo di tutelare la salute dei dipendenti», sostengono i sindacalisti.
BELLINZONA/ LUGANO - Rifiuto di comunicare. Isolare la persona, gradualmente e in maniera subdola. Relegarla in una posizione di inferiorità. Sono solo alcune delle sfumature che corrispondono al fenomeno del mobbing. Un problema in grande espansione in Svizzera dove, stando al bollettino dei medici svizzeri (2023), un numero tra il 4,4% e il 7,6% ne è vittima.
Il triste scopo – «Escludere il collaboratore dal flusso delle informazioni è tra i metodi prescelti – sottolinea Roberto Ballerini, psicologo e psicoterapeuta –. Il triste scopo è quello di tagliare fuori il dipendente fisicamente ed emotivamente, in modo che scoppi o se ne vada».
Prendere o lasciare – Il tema non è da sottovalutare. Anche perché ogni anno la (mancata) salute mentale sul lavoro costa quasi 20 miliardi di franchi all’economia svizzera. «Dal nostro osservatorio constatiamo un aumento di situazioni legate al mobbing – sostiene Giorgio Fonio, sindacalista OCST –. Alcuni datori di lavoro ti dicono chiaramente che se non accetti certe condizioni, te ne puoi andare».
Cosa dice la legge – «Eppure – fa notare Giulia Petralli, sindacalista VPOD – il datore di lavoro per legge ha il dovere di fare in modo che il clima sul posto di lavoro non arrechi danni di salute ai dipendenti. Questo concetto forse non è ancora chiaro. Ma lo indica benissimo il codice delle obbligazioni. Chi vince una causa per mobbing ha diritto a essere risarcito».
Le dovute distinzioni – Petralli invita poi a distinguere: «Il mobbing presuppone una serie di atteggiamenti che si propagano nel tempo, sull’arco di più mesi. Non possiamo parlare di mobbing per una singola osservazione. Paradossalmente a volte vengono presi di mira i dipendenti che hanno il coraggio di esplicitare le cose che non vanno».
La situazione ticinese – Secondo Fonio la questione del mobbing a sud delle Alpi è strettamente legata anche alle condizioni salariali. «Chi causa mobbing solitamente è alla ricerca di tanti “yes men” e “yes girl”. E tende a emarginare chi magari mette sul tavolo delle rivendicazioni corrette. Purtroppo si approfitta molto della presenza di frontalieri che, vista la situazione economica del loro Paese, sono disposti ad accettare paghe improponibili per chi invece è residente da noi. A questo dobbiamo aggiungere la tendenza ad assumere stagisti, precari, lavoratori temporanei».
Manipolazione – «Il mobbing presuppone una grande forza di manipolazione – riprende Ballerini –. C’è un’intenzionalità nel creare un danno all’altra persona. A volte la si sovraccarica. Altre volte le vengono tolti compiti o cariche. Va fatta una riflessione anche sul perché ci si lascia mobbizzare serialmente. C’è chi passa da una situazione di mobbing all'altra. Così come ci sono delle vittime predestinate, poiché insicure e con l’autostima bassa, persone che non sanno magari dire di no o che non sanno reagire di fronte alle ingiustizie».
I consigli – «A chi è vittima di mobbing – suggerisce Petralli – consigliamo di mantenere un diario, conservare le mail e i messaggi scritti. Le prove, insomma. È anche importante rivolgersi a un sindacato per potere essere seguiti miratamente. Il percorso per ottenere giustizia non è mai sereno. Perché possono subentrare senso di inadeguatezza, paura, depressione. Però denunciare è importante. Per sé stessi e per chi non ha il coraggio di farlo».



