«Al FoxTown non ci sono solo frontalieri. I ticinesi non vogliono lavorare qui»

«Una volta aprii un FoxTown in Cina». Sivio Tarchini, fondatore del mega outlet momò, a TioTalk risponde anche alle critiche e definisce il Ticino poco attrattivo. «Mancano strategie»
«Una volta aprii un FoxTown in Cina». Sivio Tarchini, fondatore del mega outlet momò, a TioTalk risponde anche alle critiche e definisce il Ticino poco attrattivo. «Mancano strategie»
SAVOSA - Trent’anni di storia, tra successi e critiche. Il Foxtown celebra il suo anniversario in un momento in cui il commercio al dettaglio affronta la sfida dell’online, tra negozi che chiudono e clienti sempre più prudenti nello spendere. Ne sa qualcosa il patron Silvio Tarchini, protagonista della nuova puntata di TioTalk.
Si dice che l’outlet sia oggi in sofferenza, tra chiusure e meno clienti. È così?
«L’affluenza è stabile con l’anno scorso, ma la gente spende meno: la spesa media per cliente è più bassa. Alcuni marchi hanno chiuso per difficoltà generali del retail, ma altri arrivano. Abbiamo appena aperto Freitag, marchio svizzero. Segno che l’interesse c’è ancora».
Si ricorda il momento in cui ha deciso di aprire il FoxTown?
«Tutto nacque dopo aver letto un articolo sul Corriere della Sera riguardante gli outlet americani che aprivano in Inghilterra. Io del settore non capivo niente, oggi capisco qualcosa in più. Andai a Londra, poi ad Atlanta, studiai il modello e capii che Mendrisio era la location perfetta. Dopo un anno, FoxTown aprì le porte».
Una delle critiche più frequenti che vi muovono, è che i negozi del FoxTown assumerebbero solo frontalieri. Come risponde?
«Non è vero che ci sono solo frontalieri. Gli stipendi al Foxtown sono alti, più di quelli delle boutique del centro di Lugano, e i negozi cercano anche personale svizzero. Il problema è che sono pochi i ticinesi che vogliono lavorare nel commercio al dettaglio».
Qual è stata la decisione più folle presa nella sua carriera?
«Dopo un viaggio intorno al mondo con mia moglie, decisi di trasferirmi per tre anni in Argentina con la famiglia per costruire un grattacielo nel centro di Buenos Aires. L’operazione riuscì, ma con l’inflazione al 170% preferii tornare in Svizzera».
Cosa la spinge a cominciare sempre qualcosa di nuovo e ad affrontare opposizioni e ricorsi in Ticino?
«Le cito un aneddoto. Anche con la nuova ala del Foxtown ci fu un’opposizione: volevano pannelli solari e parcheggi per biciclette. Ero d’accordo con loro, ho accettato subito e abbiamo trovato un accordo. È fin troppo facile presentare opposizione in Ticino, ma se si può dialogare e si ascoltano le motivazioni reali, si possono trovare soluzioni».
La politica economica del Cantone risponde alle esigenze del territorio e del tessuto imprenditoriale locale?
«No, il Ticino ha perso attrattiva dopo la fine del segreto bancario e non ha fatto nulla per reagire. Mancano strategie per attirare aziende tecnologiche e di alto valore aggiunto. Molte se ne vanno, poche arrivano purtroppo».
Come vede il futuro del suo outlet e del commercio in generale?
«Credo che l’intelligenza artificiale verrà integrata in questo, saprà già cosa vogliamo comprare appena entriamo in un centro commerciale e ci indirizzerà verso ciò che ci serve e dove comprarlo. Arriverà un’email ricordandoci di cambiare le scarpe».




