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L'INTERVISTA

Bixio Caprara e l'addio ai politici: «Smettetela di pensare che il Ticino sia l'ombelico del mondo»

25 anni di attività politica. Ora c'è una nuova nomina che lo porta oltre Gottardo. Gioie e dolori del politico più sportivo del Ticino.
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L'inaugurazione della rinnovata palestra Regazzi, pista di atletica leggera.
Bixio Caprara e l'addio ai politici: «Smettetela di pensare che il Ticino sia l'ombelico del mondo»
25 anni di attività politica. Ora c'è una nuova nomina che lo porta oltre Gottardo. Gioie e dolori del politico più sportivo del Ticino.

BELLINZONA - Non lo vedremo più in Gran Consiglio. Bixio Caprara lascia dopo 25 anni la politica e a partire dal primo marzo abbraccerà una nuova sfida, quella di direttore supplente dell’Ufficio federale dello sport (UFSPO). Tanti anni di militanza nelle file del PLRT, tante tappe tra molti successi e qualche sconfitta. «Purtroppo non ho il dono dell’ubiquità. Mantenendo la direzione del Centro sportivo nazionale della gioventù di Tenero e dovendo andare oltre Gottardo per la nuova nomina, risultava semplicemente impossibile portare avanti l’attività in Gran Consiglio. Inoltre essendo alla quarta legislatura, fra due anni avrei comunque dovuto smettere, quindi questa partenza non è altro che l’anticipo di una normale scadenza».

A 60 anni c’è chi pensa al buen retiro, lei invece inizia un nuovo impegno. Cosa l’ha convinta ad accettare la nomina?
«È nota la mia passione per lo sport. Lavoro da tanti anni per l’Ufficio federale dello sport. È una carica che non ho cercato. C’è stato un avvicendamento a livello di direzione e mi hanno chiesto se potevo essere disponibile per questa funzione. L’invito l’ho preso con grande entusiasmo anche perché mi permette di coltivare un mio grande interesse: la promozione dello sport unito alla politica federale».

Mercoledì sera, appena pubblicata la notizia delle sue dimissioni dalla politica, immagino avrà ricevuto parecchi messaggi. Quali sono stati quelli che ha gradito di più?
«Soprattutto quelli che sono arrivati dagli amici fuori dal Ticino. Uno di questi lavorava nello sport e si è trasferito a Bangkok. Oppure le congratulazioni di amici e conoscenti da oltre Gottardo frequentati in questi anni».

Quando nel 2011 venne eletto in Gran Consiglio, in una nostra intervista ci disse che avrebbe voluto un Ticino senza troppi “ticinesismi”.  Ci siamo riusciti?
«Diciamo che il lavoro non è concluso. Non ho mai condiviso l’immagine di un Ticino piangente, quello con il cappello in mano verso Berna. Mi sono sempre battuto per un Cantone consapevole delle proprie qualità e delle proprie forze. Alptransit ci ha avvicinato alla Svizzera tedesca, e questo offre a tanti giovani la possibilità di spostarsi oltre Gottardo, di conoscere meglio il tedesco. Dobbiamo capire che non siamo l’ombelico del mondo, ma bisogna avere l'umiltà di mettersi in gioco. Sono convinto che abbiamo le carte da giocare, lo abbiamo dimostrato con l’Università della Svizzera italiana».  

Guardando a questi 25 anni di attività politica di cosa va più fiero?
«Di essere stato sempre fedele alle cose in cui credo. Vede, lavorando a livello federale ho goduto di una certa indipendenza. Non mi sono mai trovato in situazioni in cui dovevo accontentare qualcuno a livello cantonale. Il mio atteggiamento è sempre stato di forte rigore verso cose in cui credo e che ho portato avanti con determinazione. Chi mi conosce sa a cosa mi riferisco». 

A cosa?
«L’ho detto più volte in Gran Consiglio. Bisogna cambiare certe modalità, certi approcci nella gestione dei servizi pubblici, l’efficienza dell’amministrazione pubblica. È più facile a dire che a farsi». 

C’è qualcosa invece che si rammarica di non aver realizzato?
«Mah....diciamo che siamo un po' lenti. Alcune cose andrebbero fatte con maggiore slancio. Penso ad esempio al completamento di Alptransit con la circonvallazione di Bellinzona e di Lugano e al fatto che la tratta a sud del Gottardo sia immancabilmente monca. Ci sarebbe voluta una maggiore determinazione per concludere davvero l’intera opera. È un peccato che non sia stato fatto».

Una volta, citando Churchill, ha detto che chi fa politica deve essere disposto anche a perdere. Qual è stata la sconfitta che le è pesata di più?
«Credo che come nello sport, anche in politica bisogna sempre imparare dalle sconfitte senza perdere l’entusiasmo. Anche perché ogni tanto si vince, ma spesso si perde. Bisogna capire - con grande umiltà - cosa bisogna fare per trovare un buon equilibrio. E ho capito che con atteggiamenti aggressivi e arroganti non si va da nessuna parte. Che non si può avere tutto».

Non mi dica che non le è pesata la sconfitta al ballottaggio con Brenno Martignoni per la poltrona di sindaco di Bellinzona...
«Quella mica è stata una sconfitta per me, lo è stata semmai per l’intera città, visti i risultati».

Qual è stato il momento più difficile della sua carriera politica?
«Non ricordo situazioni particolarmente drammatiche. Certamente ci sono state delle situazioni intense. Come ad esempio i quattro anni alla presidenza del PLRT. Anni di duro lavoro durante i quali ho sacrificato la mia famiglia. Fare politica, e farla con impegno, è un lavoro che toglie tempo al resto. Richiede un'importante presenza su molti livelli».

Da partente, come valuta lo stato di salute della politica ticinese e il dibattito attorno alla politica?
«Premessa: non amo pensare che il passato sia meglio del presente, e che le cose andavano molto meglio una volta. Però mi preoccupa questa eccessiva velocità, che genera solo superficialità. I temi politici non possono essere banalizzati. La politica richiede approfondimenti, studio. Richiede impegno. Non si nasce tuttologi. Quando si crea un progetto di legge bisogna documentarsi, avere l’umiltà di chiedere a chi ne sa di più. Oggi invece c’è sempre molta fretta nel fare le cose. Subito si vuole prendere posizione e tutti vogliono dire al volo quello che pensano. 

Come vede l’evoluzione del Partito liberale radicale ticinese per i prossimi anni?
«Forse sono un romantico, ma mi auguro che il partito continuerà all’insegna dell’equilibrio senza perdersi nel dualismo tra radicali o liberali. Ho sempre scritto “liberaleradicale” in una parola sola, perché ho sempre creduto che bisogna sapere vivere in armonia, in equilibrio, in un'economia che non deve avere eccessivi vincoli di legge. È sbagliato voler sempre regolamentare tutto. Ci lamentiamo della burocrazia, ma alla fine siamo prigionieri della nostra “svizzeritudine”.

Ora inizia una nuova avventura. Quali saranno le priorità come direttore supplente dell’Ufficio federale dello sport.
«Sicuramente lo sviluppo dell'attività sportiva nella popolazione svizzera. È un tema molto importante. Ormai siamo tutti d’accordo che il movimento, per tutte le fasce d’età, giochi un ruolo fondamentale sia per la salute fisica che per quella mentale. Stare fermi vuol dire essere morti».

C’è qualcosa che sente di voler recuperare ora che avrà un ruolo meno esposto?
«Spero in qualche mezzogiorno libero in più per fare attività sportiva e recuperare un po' di salute».

Molti politici ora non li vedrà più. Chi è felice di non rivedere?
«(ride) Non ho astio nei confronti di nessuno. Ho fatto politica per 25 anni e l’ho sempre fatta con grande piacere. Se non fosse così sarei stato un masochista. Penso che sia arrivato anche il momento di fare spazio alle nuove generazioni. Conosco tanti giovani trentenni che hanno voglia di dare il proprio contributo per migliorare il nostro cantone. Quindi a loro i miei migliori auguri».

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