Uomini che picchiano le donne: «Tutti sono recuperabili»

In Ticino esiste un programma che aiuta gli uomini che hanno commesso violenze in ambito domestico. L’obiettivo? Farli cambiare. E c'è chi si autosegnala.
In Ticino esiste un programma che aiuta gli uomini che hanno commesso violenze in ambito domestico. L’obiettivo? Farli cambiare. E c'è chi si autosegnala.
BELLINZONA - «Abbiamo aiutato un uomo che aveva commesso molteplici violenze, sull’arco di anni, nei confronti di più donne. Oggi sappiamo che ha una relazione e una vita familiare felice e che non ci sono più stati problemi».
A raccontarci questa storia a lieto fine, una delle tante, sono Siva Steiner e Marlene Masino, capoufficio e collaboratrice scientifica dell’Ufficio assistenza riabilitativa (UAR).
Oggi infatti, in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, non parleremo dell’aiuto alle vittime, e nemmeno delle condanne, ma di un servizio che in pochi conoscono: quello che offre supporto agli autori di violenza allo scopo di prevenire nuovi episodi.
A stretto contatto con i violenti - «Lavoriamo con persone che hanno esercitato comportamenti violenti», spiega Steiner. «Si tratta per il 90% di uomini che hanno alzato le mani su delle donne. Lo scopo è andare alla radice del problema in modo da evitare la recidiva e salvaguardare le vittime».
«C'è chi si autosegnala» - Nato nel 2011 all'interno dell'UAR, il programma di prevenzione della violenza coinvolge, oltre ai detenuti, anche persone in libertà. «La maggior parte degli autori di violenza ci vengono segnalati dalla Polizia cantonale. Noi prendiamo contatto con loro e offriamo sostegno e consulenza. L'adesione, però, resta volontaria», chiarisce Masino.
«C’è poi chi si fa avanti in autonomia, autosegnalandosi. E Ministero pubblico e ARP ci assegnano alcuni mandati con obbligo di partecipazione».
Nel corso del 2024 il servizio ha seguito ben 108 persone in libertà. Il dato provvisorio di quest’anno è invece di 98 unità, mentre dal 2011 a oggi sono stati aiutati, in totale, 1’408 autori di violenza.
«Identità patriarcale dura a morire» - «In genere si tratta di uomini che hanno assunto un'identità maschile tradizionale e patriarcale», indica Steiner. «È un’identità dura a morire perché si è radicata, in maniera diffusa, nel corso dei secoli. Ed è ancora presente, in modo importante, anche oggigiorno».
Fin da bambini - È raro, oltretutto, che chi assume questa identità ne sia pienamente cosciente: determinati meccanismi vengono infatti interiorizzati nel corso del tempo senza troppa consapevolezza. «Si pensi ai giochi che vengono proposti ai bambini: giochi in cui lo scopo è prevalere sull’altro, esercitare potere e commettere violenze. I giochi pensati per le bambine, come le bambole, le casette o le cucine giocattolo, sono invece spesso e volentieri legati alla cura e all’attenzione verso i bisogni dell’altro».
«Non c'è giudizio» - Ma come vengono aiutati, nel concreto, questi uomini? «A seguirli sono operatori sociali appositamente formati», spiega Masino. «Si inizia con un primo colloquio telefonico in cui si presenta il servizio e si fissa un primo incontro. A questo possono seguire sia dei colloqui individuali che i corsi di prevenzione di gruppo».
Questi corsi si svolgono in moduli da dieci incontri ciascuno. «Si affrontano temi come le conseguenze della violenza domestica, la comunicazione e la differenza tra conflitto e violenza. Condividiamo delle strategie per individuare una situazione in escalation e degli strumenti per gestire diversamente il comportamento violento. I partecipanti, inoltre, hanno la possibilità di esprimersi in un contesto in cui non c’è giudizio».
«Le recidive fanno parte del percorso» - Così, in definitiva, si abbatte la recidiva? «La recidiva naturalmente va evitata, ma può essere parte del percorso, soprattutto quando si tratta di percorsi lunghi», spiega Steiner. «È illusorio credere che da un momento all’altro tutto possa cambiare. Ci possono essere delle ricadute, ma non bisogna mollare la presa. Ripartiamo da lì».
Gran parte della società ritiene però che chi ha un’indole violenta non possa realmente cambiare…e che sia meglio girare alla larga.
«Nessuna "indole violenta"» - «È importante riconoscere che si tratta di comportamenti violenti e non di un’indole violenta, anche perché sui comportamenti è molto più facile lavorare», afferma Steiner. «Cambiare l’intera persona è difficile, e non è neppure necessario, ma rivedere i propri comportamenti è possibile. Questo sempre che ci sia un minimo di motivazione: se uno è convinto che quello sta facendo va bene è chiaro che non ci possiamo aspettare un cambiamento».
Di norma «gentili e rispettosi» - «Trattiamo il comportamento violento come modificabile e lavoriamo sulla multifattorialità che predispone alla violenza», conviene Masino. «Tra questi fattori ci possono essere dei disturbi psichici, ma anche aspetti culturali, un’incapacità di gestire le emozioni, difficoltà nella gestione dello stress, problemi economici,... Ridurre tutto questo a un’indole o al carattere di una persona è rischioso e non favorisce il cambiamento». Inoltre, sottolinea, «ci sono individui che nella loro vita sociale si comportano in modo gentile e rispettoso, ma che nella relazione intima/affettiva, proprio per l'intrecciarsi di diversi fattori di rischio, commettono atti violenti».
«Tutti possono cambiare» - «Tutti sono recuperabili, tutti possono cambiare. È questo il messaggio che deve passare», conclude Steiner.
Ufficio federale di statistica




