Dominatore in campo e con una vita privata turbolenta, l'ex cestista ha lasciato un vuoto enorme nel cuore di tanti. Parlare al passato è difficile
LOS ANGELES - Se hai tra i 35 e i 45 anni sei cresciuto con lui. Se ne hai di meno lo hai idolatrato. Se ne hai di più lo hai mal sopportato perché è stata la cosa che più si è avvicinata a Sua Maestà Michael Jordan.
In ogni caso, hai respirato a pieni polmoni il suo talento, il suo gioco, il suo carisma, il suo sconfinato ego. E ne sei rimasto rapito. Lui è Kobe Bryant.
Il tempo presente è un obbligo perché davvero, nonostante il rincorrersi delle notizie, dei tweet, dei post, di tutto quello che oggi ci regala questa informazione orizzontale e immediata, si fa fatica a credere a quanto successo a uno dei più grandi atleti della storia dello sport.
Non si sta parlando di basket, non solo di quello. Ci fermassimo alla palla a spicchi, probabilmente impiegheremmo ore per raccontare una carriera che definire leggendaria è il minimo. Si sta parlando di sport. A livello globale. Kobe è stato grande tanto quanto Muhammad Ali, Fausto Coppi, Michael Schumacher, Babe Ruth e pochi altri. In più, ha avuto la fortuna-sfortuna di vivere un'epoca nella quale l'esposizione mediatica era già diventata un fattore. E questo ha reso la sua leggenda ancora più grande.
Figlio di un buon giocatore, cresciuto in Italia, esploso giovanissimo nell'High School statunitense, capace di portare nuovamente in trionfo i Los Angeles Lakers – il suo grande amore mai tradito – e poi, una volta ritirato, di mettere le mani su un Oscar per il Miglior cortometraggio d'animazione: Kobe ha consumato la sua vita senza mai staccare il piede dall'acceleratore. E questo, oltre che un vincente, lo ha reso scomodissimo. Già perché nel giorno dello sbigottimento, della tristezza, del cazzotto ricevuto in pancia e che ti lascia senza fiato, sarebbe sbagliato non ricordare i tanti spigoli dell'ex 8 e 24 gialloviola. Uno che si è creato la propria grandezza anche sulle maledizioni dei tifosi delle squadre rivali, uno che si è distinto per aver fatto saltare la coppia più devastante del basket moderno (chiedere a Shaq O'Neal, per conferma), uno accusato di aver distrutto mentalmente ogni compagno non disposto a dare il massimo.
Era duro. Era talvolta egoista ed accentratore. Era spietato. Era schietto. E per tutto ciò è stato rispettato. E amato come pochissimi prima di lui. Da chi lo ha incrociato almeno una volta sul parquet più ancora che dai supporter. E questo è tutto dire.
His Airness Michael Jordan, quello che ha esportato il basket nordamericano in ogni angolo del pianeta, ha unito. Kobe, quello che lo ha fatto diventare un affare per tutti, ha diviso. Entrambi, grandissimi, sono entrati nell'immaginario collettivo come simboli stessi della palla a spicchi. Come presenze indefinite davanti alle quali anche i campioni di oggi hanno sempre chinato il capo. Uno di questi, LeBron James, proprio poche ore prima del tragico schianto aveva superato Bryant al terzo posto della classifica dei migliori marcatori della storia NBA. Aveva ricevuto i suoi complimenti – via social, ovviamente – e li aveva custoditi gelosamente come fossero un regalo preziosissimo. Glieli aveva fatti il suo idolo...
Lo stesso LeBron James, saputo della notizia, come ogni appassionato è tornato a casa per piangere con la sua famiglia. Con i suoi figli. Pure Kobe, che mollato il basket si era ammorbidito, aveva seppellito l'ascia di guerra, aveva una famiglia bellissima e che amava alla follia. Sposata giovanissima, la moglie Vanessa lo aveva supportato e sopportato e gli aveva dato quattro figlie. Natalia Diamante, Gianna Maria-Onore, anch'essa morta nell'incidente, Bianka Bella e la piccolissima Capri Kobe, di neppure un anno. Una volta che il clamore mediatico si sarà placato, una volta che si comincerà a ripensare all'ex Laker con un piccolo sorriso, perché l'incredulità avrà lasciato spazio alla routine, saranno loro, le donne Bryant, a continuare a soffrire. A continuare a ricordare ogni giorno un uomo imperfetto come tutti ma, nella sua ostinazione, grandissimo.
Questo è il tempo delle lacrime.
Ciao Kobe, che la terra ti sia lieve.