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GRAN BRETAGNA

I malati terminali potranno essere «aiutati a morire»

La legge riguarderà persone con una aspettativa di vita non superiore ai sei mesi
Depositphotos (sudok1)
Fonte ATS
I malati terminali potranno essere «aiutati a morire»
La legge riguarderà persone con una aspettativa di vita non superiore ai sei mesi

LONDRA - La Gran Bretagna dà il via libera alla legge destinata a legalizzare l'eutanasia per persone malate terminali. Oggi la Camera dei Comuni britannica ha dato il suo sì definitivo alla misura: come da tempo prevedono gli ordinamenti di vari Paesi liberal dell'Europa continentale, ma come il Parlamento del Regno aveva bocciato a maggioranza ancora dieci anni fa.

Il testo, denominato Terminally Ill Adults (End of Life) Bill, vale per l'Inghilterra e il Galles, mentre Scozia e Irlanda del Nord sono avviate a legiferare sulla materia autonomamente in forza della devolution. I deputati di Westminster, che in prima lettura l'avevano approvato a novembre con 330 sì contro 275 no, l'hanno licenziata oggi in versione emendata, dopo un dibattito sentito e caratterizzato da toni non privi di emozione su entrambe le barricate.

Alla fine alcuni ripensamenti a favore del no hanno ristretto i margini del risultato conclusivo: suggellato da un via libera di misura - 314 voti pro e 291 contrari - con divisioni bipartisan in seno a tutti i gruppi dopo racconti di dolorose esperienze personali o familiari di segno opposto. Gruppi a cui è stata comunque garantita piena libertà di coscienza sul voto, con il premier Keir Starmer che ha fatto trapelare solo a cose fatte d'essersi espresso a favore.

La legge passa ora alla Camera non elettiva dei Lord, dove comunque si profila una larga maggioranza favorevole. Il testo limita la possibilità di chiedere «il suicidio assistito» - con il consenso di due medici - a tutte le persone dai 18 anni in su soggette a «diagnosi terminali» con aspettativa di vita indicata non oltre i 6 mesi. Previsto peraltro il diritto all'obiezione di coscienza per i sanitari.

L'iniziativa - promossa individualmente dalla deputata della maggioranza laburista Kim Leadbeater (sorella della defunta parlamentare Jo Cox, uccisa nel 2016) e sostenuta da associazioni varie e figure pubbliche terminalmente malate, ma avversata da altre personalità e dai gruppi pro-vita - ha suscitato un articolato dibattito anche nella società. Testimoniato dalla presenza di attivisti contrapposti che hanno atteso l'epilogo della seduta parlamentare odierna fuori da Westminster innalzando cartelli e slogan, prima di abbracciarsi all'esito del voto fra lacrime di sollievo o di delusione. «È un giorno la cui importanza non può essere sottovalutata, abbiamo fatto una scelta etica, morale e di umanità per dare a tanta gente ciò di cui ha bisogno: il diritto di scegliere come mettere fine ai propri giorni nella condizione più vulnerabile, quella dei moribondi», ha commentato Leadbeater.

I sondaggi, in un Paese ormai secolarizzato, indicano un consenso per l'eutanasia molto più diffuso rispetto al passato, fino al 73%. Ma i dubbi restano e non vengono solo dalla galassia pro-life, dal mondo religioso o da settori più tradizionalisti del Partito conservatore di Kemi Badenoch. Bensì pure da esponenti della sinistra sociale come Diane Abbott, veterana del Labour, o come Vicky Foxcroft, membro junior del governo dimessasi oggi stesso per dissensi sui tagli ai sussidi per i disabili: entrambe non contrarie in linea di principio alla depenalizzazione del suicidio assistito in certe situazioni, ma a disagio con l'impostazione libertaria di alcuni aspetti di questa legge e con il potenziale approccio utilitaristico che a loro dire potrebbe derivarne a danno della reale volontà dei pazienti.

La prima ha denunciato fra l'altro l'introduzione di un emendamento che ha eliminato l'obbligo di un passaggio legale dinanzi all'Alta Corte per ogni richiesta di eutanasia, sostituito da un parere pro forma affidato a un panel di tre persone, lamentando meno paletti e «salvaguardie» contro possibili condizionamenti di familiari o medici. Mentre la seconda ha evocato tutele insufficienti proprio per i disabili e il timore di favorire una corsa all'indebolimento della cultura dell'assistenza, come fosse un costo da sfoltire. E senza vere garanzie d'investimenti sulle cure palliative.

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