L'Unesco ha premiato una «cucina italiana da cartolina»

Tra le tanti voci di giubilo si è levata, quella critica, del professor Alberto Grandi: «Abbiamo chiesto di certificare la nostra caricatura gastronomica»
PARMA - L'Unesco, nel corso della ventesima sessione che si è tenuta a New Delhi, ha rinfoltito la Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell'umanità. Per la Svizzera c'è lo Jodel e, per l'Italia, la sua cucina. C'è stata grande soddisfazione, soprattutto tra le autorità: il ministro dell'Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste Francesco Lollobrigida ha parlato di «una festa che appartiene a tutti perché la Cucina italiana parla delle nostre radici, della nostra creatività e della nostra capacità di trasformare la tradizione in valore universale».
🇮🇹ORA È UFFICIALE! La Cucina Italiana è Patrimonio UNESCO!
— Francesco Lollobrigida 🇮🇹 (@FrancescoLollo1) December 10, 2025
Oggi l’Italia ha vinto ed è una festa che appartiene a tutti perché la Cucina italiana parla delle nostre radici, della nostra creatività e della nostra capacità di trasformare la tradizione in valore universale. pic.twitter.com/RSEH4XcNpj
La critica del professor Grandi - Ma c'è una voce critica che, per quanto piuttosto isolata nel coro delle felicitazioni post-vittoria, merita di essere ascoltata: è quella di Alberto Grandi, professore dell'Università di Parma, dove tiene il corso di Economia e management delle filiere alimentari sostenibili. Storico dell'alimentazione, ha scritto vari libri di successo (ad esempio "La cucina italiana non esiste") ed è autore di un podcast molto ascoltato "DOI - Denominazione di origine inventata", nel quale smonta insieme a Daniele Soffiati i falsi miti sulla cucina, soprattutto italiana.
«Un'idea levigata e artefatta» - Il professor Grandi ha affidato a un video postato su Instagram le reazioni a caldo alla notizia. «Era ora che qualcuno, con un timbro internazionale, certificasse ciò che non è mai esistito. Cioè un'idea astratta, levigata, e volutamente artefatta della nostra cucina e del nostro rapporto con l'alimentazione. Gli italiani che mangiano sempre benissimo, una cucina che è sempre come quella della nonna e che tutti noi conosciamo perfettamente a memoria tutte le tradizioni che ovviamente tradizioni non sono. Ecco, peccato che questa immagine non abbia alcuna relazione con la storia reale dell'alimentazione italiana, con ciò che gli italiani hanno portato in tavola per secoli e che portano in tavola ancora oggi».
L'invenzione della tradizione - Grandi sostiene che l'attuale cucina italiana, quella ora certificata dall'Unesco, sia tutt'altro che tradizionale ma che sia in gran parte nata con lo sviluppo industriale successivo alla Seconda guerra mondiale e che, in alcuni casi, sia frutto d'influssi esterni. Basti pensare alla carbonara, la cui nascita è ancora incerta ma che sembra essere frutto degli ingredienti (pancetta, uova) al seguito dei soldati americani che avevano risalito la Penisola a partire dal 1943. Oppure la pizza, che nella sua forma attuale è più simile a quella che cucinavano gli italo-americani negli Stati Uniti che a quella consumata nei vicoli di Napoli nell'Ottocento. Gli esempi portati nel corso degli episodi del podcast sono vari.
Più marketing che cultura - Ma torniamo al caso specifico. «In pratica noi abbiamo chiesto all'Unesco di certificare la nostra caricatura gastronomica». Non è un ritratto reale dell'Italia, afferma Grandi, ma rappresenta «come vorremmo essere visti, come vorremmo essere fotografati, più che una operazione storica di salvaguardia della cultura». In sostanza, aggiunge il professore, «stiamo facendo sostanzialmente del marketing. Ma d'altra parte siamo un paese che ha trasformato la fame in tradizione e quindi tutto questo ci sta benissimo».
Il confronto con Francia e Giappone - In un articolo sul quotidiano Domani, Grandi ha ribadito la sua posizione e l'ha sviluppata. A partire da un paragone: non è la prima volta che l'Unesco inserisce nella Lista del patrimonio culturale immateriale dell'umanità una cucina nazionale: era successo con la Francia nel 2010 e con il Giappone nel 2013. La storia italiana, conclude Grandi, «è meno lunga e meno codificata di quella francese, meno ritualizzata di quella giapponese, ma forse per questo più epica: un racconto di miseria, ingegno, improvvisazione, migrazioni e ricostruzioni continue. Una storia spesso fanfarona, certo, come solo gli italiani sanno essere, ma autentica».
«Una grande occasione mancata» - Ma i reali meriti non sono stati presi in considerazione, in quella che Grandi ritiene «una forma aggiornata di autoesotizzazione», ovvero promozione di un'identità oleografica che non corrisponde alla realtà. «Abbiamo scelto la strada più facile: imbellettare un’idea rassicurante e turisticamente redditizia, come se fosse un’unica tradizione millenaria. Una cucina che, paradossalmente, non è mai esistita. Una grande occasione mancata. Potevamo presentarci al mondo con la nostra verità: un racconto di miseria, ingegno, improvvisazione, migrazioni e ricostruzioni continue. Abbiamo preferito la cartolina».



