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LO STUDIO«È ora di smettere di usare il termine long Covid»

15.03.24 - 16:12
Lo dice una ricerca: sintomi post Covid non peggiori di quelli post influenzali, «non è più necessario un distinguo». Ma è davvero così?
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Fonte ABC News/ DailyMail / Guardian
«È ora di smettere di usare il termine long Covid»
Lo dice una ricerca: sintomi post Covid non peggiori di quelli post influenzali, «non è più necessario un distinguo». Ma è davvero così?

LONDRA / BRISBANE - Quando si digita il termine Covid si pensa già immancabilmente alle comprensibili reazioni di disappunto e di stanchezza. Ma la ricerca scientifica ci impone di tornarci brevemente, per dare una notizia a tinte più chiare di quelle a cui siamo stati abituati. In sostanza, secondo una ricerca del dipartimento della Salute del Queensland (Australia), il Long Covid, attualmente, altro non sarebbe se non un decorso in tutto e per tutto simile a quello post influenzale. E a riprendere le parole del responsabile sanitario dello Stato australiano sono un po' tutti i principali media britannici.

«Crediamo che sia ora di smettere di usare termini come Long-Covid», ha detto senza mezzi termini il responsabile del progetto, il dottor John Gerrard. Questo perché inizialmente il post Covid era riferito a sintomi «unici ed eccezionali», mentre ora la ricerca stabilisce che il post Covid è ormai equiparabile al decorso di qualsiasi altra infezione virale.

«Le nostre prove - continua il medico - suggeriscono che (il decorso, ndr) non è dissimile da altri virus. Ciò non significa che non si possano contrarre dei sintomi persistenti dopo il Covid-19, ma questo non è diverso rispetto ad altri virus respiratori».

Ma che significa long Covid? Secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità si tratta della persistenza di sintomi tre mesi dopo l’infezione iniziale, quando tali sintomi non possono essere riconducibili ad altra causa. Ecco che lo studio, condotto nel Queensland, si è chiesto se sia ancora possibile un distinguo. E lo ha fatto esaminando oltre 5mila pazienti adulti che presentavano i sintomi di una malattia respiratoria (2.399 erano positivi al Covid-19, 995 all’influenza e 1.718 negativi a entrambe).

Un anno dopo l'infezione, gli intervistati - secondo una sintesi pubblicata dal Guardian - riportavano sintomi persistenti nel 16% dei casi sul totale del campione. E nel dettaglio: il 3% dei partecipanti allo studio si trovano a fare i conti con i postumi da Covid-19 mentre il 3,4% aveva sintomi post influenzali. Ma tra i due sottogruppi appena indicati lo studio rileva problematiche e disturbi simili. Si tratta cioè di affaticamento, confusione mentale e cambiamenti nel gusto e nell’olfatto, con la possibilità di un peggioramento degli stessi dopo esercizi e movimenti più intensi.

Risultato che il professor Gerrard ha voluto comunque precisare nel corso di una conferenza stampa: «Quello che stiamo dicendo è che l’incidenza di questi sintomi non è maggiore nel Covid-19 rispetto ad altri virus respiratori, e che usare il termine long-Covid è fuorviante e credo dannoso».

Le riserve e i dubbi - Ma non tutti convergono sullo studio e soprattutto sulle sue conclusioni. «A mio avviso è illogico affermare che l'esistenza del long-Covid debba essere smentito - twitta infatti il dottor Nick Coatsworth, che in Australia ha affrontato insieme al governo la pandemia - Piuttosto spetta alla comunità scientifica l'onere di dimostrare che esiste come condizione indipendente da altre sindromi post-virali».

E prudenza la invoca anche l’esperto di malattie infettive Paul Griffin, affermando che sono necessarie molte più ricerche per comprendere meglio il Covid a lungo termine. Aggiungendo la necessità di «investire in alcune linee guida su come gli operatori sanitari possano aiutare i pazienti affetti da "Covid lungo", e poi riunire tutte le competenze», a vantaggio della prevenzione e della cura.

Di certo c'è quello che si apprende da ABC Australia: il dottor Gerrard presenterà i risultati della ricerca il mese prossimo al Congresso europeo di microbiologia clinica e malattie infettive a Barcellona. Il dibattito scientifico resta aperto e, secondo quanto scrive il Mail, lo studio del Queensland è provvisorio e dunque parziale: altri elementi, come ictus, attacchi cardiaci e miocardite, dovranno essere esaminati.

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