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COMO: Rogo al Galeazzi, nuova sconcertante perizia
Nell’incendio della camera iperbarica avvenuto il 31ottobre ’97 morì anche il comasco Lino Arosio
COMO: Rogo al Galeazzi, nuova sconcertante perizia
Nell’incendio della camera iperbarica avvenuto il 31ottobre ’97 morì anche il comasco Lino Arosio
AROSIO –
“Un minuto esatto di sopravvivenza”: tanti ne hanno avuti le 11 persone arse vive la mattina del 31 ottobre ’97 nella camera iperbarica dell’Istituto Iperbarico “Galeazzi” di Milano. Fra le vittime anche il pensionat...
AROSIO –“Un minuto esatto di sopravvivenza”: tanti ne hanno avuti le 11 persone arse vive la mattina del 31 ottobre ’97 nella camera iperbarica dell’Istituto Iperbarico “Galeazzi” di Milano. Fra le vittime anche il pensionato comasco Lino Nespoli di Arosio. Lo ha stabilito l’ennesima perizia d’Ufficio depositata in queste ore alla 9* Sezione Penale del Tribunale di Milano dove si sta svolgendo il processo con rito abbreviato nei confronti di tre degli imputati per quella strage: l'ex Direttore Sanitario Ezio Zambrelli, l'ex capo della manutenzione Roberto Beretta e l'ex responsabile della protezione esterna Raffaele Bracchi. 60 secondi di terrore ma a disposizione solo di coloro che erano più distanti dalla donna che con se aveva lo scaldamani da cui si è originata la scintilla causa del tremendo rogo. “Un minuto – scrivono i quattro periti nominati dal Tribunale – che sarebbe stato sufficiente alle persone intrappolati per attivare l’impianto antincendio che avrebbe significativamente dilatato i tempi di sopravvivenza rimovendo calore e spegnendo almeno parzialmente l'incendio: ma questo sarebbe stato possibile se nel serbatoio dell’impianto antincendio ci fosse stata acqua al posto delle ragnatele”. Una conclusione raggelante, tremenda, quella dei quattro esperti che nella loro relazione aggiungono: “L’intervento tempestivo dell'’impianto antincendio avrebbe certamente influito sulla durata e intensità dell’incendio in questione e conseguentemente almeno alcuni degli occupanti della camera iperbarica avrebbero potuto essere salvati”. Fra questi alcuni proprio Lino Nespoli che si trovava fra il gruppetto di vittime più distanti da quella donna e dal suo maledetto scaldino elettrico che non avrebbe dovuto essere portato dentro la camera iperbarica. Una perizia che, aggiunta alle precedenti, non fa altro che schiacciare sotto il peso delle loro responsabilità gli odierni imputati andando a confortare le conclusioni della Pubblica Accusa che nelle motivazioni di richiesta di rinvio a giudizio scrisse: “L’impianto antincendio non era funzionante in quanto il serbatoio che avrebbe dovuto contenere l’acqua era vuoto, la bombola di aria compressa propellente aveva il rubinetto chiuso e la valvola del tubo di mandata dell’acqua era chiusa... La doccetta a mano interna alla camera iperbarica, prevista in fase di progetto, non era stata installata”. E come se tutto questo non bastasse va aggiunto che almeno cinque delle 11 vittime avevano caschi “impropriamente modificati che hanno consentito la fuoriuscita di ossigeno dal collare in lattice e l’accumulo del gas negli abiti”... facendo di loro delle bombole infiammabili. Lino Nespoli quella mattina, accompagnato da una sorella, si era recato all’istituto iperbarico per sottoporsi ad alcune terapie legate ad una malattia che già gli aveva fatto perdere l’uso parziale di una gamba. E la decisione di disporre la perizia depositata in queste ore era stata assunta il 13 ottobre dello scorso anno proprio dai Giudici della Nona Sezione Penale del Tribunale di Milano accogliendo le richieste di rito abbreviato sollecitate da alcuni dei 7 imputati rimasti ancora sulla scena giudiziaria. In particolare per uno di loro ( Roberto Beretta ex responsabile della manutenzione della camera iperbarica) l’accoglimento della richiesta di rito alternativo è legata agli esiti dei nuovi accertamenti tecnici. Per loro il P.M. Francesco Prete contesta i reati di incendio e omicidio plurimo colposi e omissione delle norme di sicurezza. Il 13 ottobre dello scorso anno, invece, erano stati condannati in Primo Grado il Primario del reparto di Ossigenoterapia Giorgio Oriani ( 5 anni e mezzo), il Consigliere Delegato per la Sicurezza Silvano Ubbiali (quattro anni e mezzo), il tecnico Andrea Bini ( e la cavò con 4 anni) e l’allora Presidente del “Galeazzi” Antonino Ligresti che si vide infliggere 3 anni e 6 mesi di reclusione. Il processo si svolse con l’ausilio delle consulenze presentate dalla Procura e dai periti delle famiglie colpite dalla tragedia ma non di quelle della difesa, perizia sollecitata, in particolare, dal difensore di Beretta, l’avvocato Roberto Iannacone. I famigliari del pensionato di Arosio a suo tempo avevano rifiutato ogni tipo di risarcimento dei danni.
di Bob Decker
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