«Sarà sempre più difficile trovare casa», parola di Artioli


L'immobiliarista ticinese parla di successo, famiglia e della visione «di un Ticino moderno», con il restauro del Grand Hotel a Locarno: «Ma qui è difficile fare impresa»
LUGANO - Un successo «che viene dal basso», dopo il cambiamento di mentalità «tra i 40 e i 50 anni», quando «ho iniziato a togliermi le paure, arrivando a comprare terreni da 25 milioni». E ancora, il «cuore» e la «visione» per «un Ticino moderno», che fanno a pugni con «la cultura dell'invidia». Fino alla consapevolezza «del tempo che passa» e all'orgoglio di essere padre: «Con mio figlio Alain condivido anche il rischio». Senza dimenticare qualche buon consiglio: «Comprate terra».
Stefano Artioli, "il visionario", si racconta così a Tio Talk.
64 anni, immobiliarista ticinese di origine italiana tra i 300 Paperoni svizzeri, con una fortuna che “Bilanz” stima essere oltre i 250 milioni (2024). Mentre con la sua Artisa, oggi guidata da suo figlio Alain, ha costruito - tra i tanti progetti - 1740 appartamenti, 360 residenze per anziani e circa 3000 micro appartamenti in Europa.
Signor Artioli, che effetto le fanno questi numeri?
«Sono frutto di una crescita che abbiamo avuto negli ultimi 15 anni, una soddisfazione legata alla riuscita del lavoro, soprattutto per chi viene dal basso e da una piccola attività imprenditoriale. Sono stati anni molto intensi e la visione di uscire dal Ticino e sviluppare la svizzera tedesca e francese ha portato al successo di Artisa. E poi abbiamo cavalcato i tassi di interesse negativi, in altri tempi non sarebbe stato possibile. I nostri grandi clienti degli ultimi 10 anni sono stati i fondi di casse pensioni: producevamo una dimensione adatta ai loro investimenti. Se non fosse stato così non avremmo realizzato tutti questi appartamenti».
Siamo in un momento di bassi tassi ipotecari e sulla scia di possibili ulteriori tagli al tasso di interesse di riferimento da parte della BNS, gli analisti prevedono una ulteriore diminuzione. È il momento giusto per comprare la prima casa?
«Acquistare una propria abitazioni è il sogno di tante famiglie. Ma rispetto al passato, oggi l'accesso alla proprietà è indubbiamente sempre più difficile se non hai delle eredità. Le leggi hanno creato sistemi che hanno fatto lievitare i costi. Non si è favorita la giovane coppia: il tasso di interesse che viene attuato è molto elevato da parte delle banche e questo è un grosso errore. Il reddito della coppia riesce in questa impresa solo se entrambi hanno due buoni stipendi».
Come vede il mercato da qui ai prossimi anni?
«In Svizzera il trend dei prossimi 5 anni è quello di aver sempre più una carenza di appartamenti. Tralasciando ora il Ticino che ha comunque percentuali di sfitto non elevate (tasso del 2.08%, leggermente inferiore a quello del 2023, ndr), Zurigo ha lo 0.03% di sfitto e si assiste già al rialzo di tutti gli affitti: quando c'è una appartamento libero c'è la colonna di chi lo vuole. In futuro avremo carenza di appartamenti e un aumento degli affitti e dei prezzi delle case».
Perché?
«Non produciamo sufficienti alloggi rispetto all’immigrazione, soprattutto quella di qualità. Lo scorso anno sono arrivate a vivere in Svizzera 140 mila persone, avremmo dovuto produrre circa 70 mila appartamenti ma ne produciamo 30 mila in tutto, meno del 50% del fabbisogno. Il Consiglio Federale ha lanciato l'allarme ai Cantoni di rilasciare i permessi (di costruzione, ndr) perché entro i 5 anni entreremo in crisi e sarà difficile trovare casa. Quella dello sfitto non è la realtà».
E in Ticino?
«Oggi gli immobiliaristi, gli sviluppatori affrontano due temi. In primis il ridimensionamento del territorio edificabile per via della legge votata nel 2014 (La revisione della Legge sulla pianificazione del territorio (LPT) del 1 maggio 2014, ha come obiettivo il ridimensionamento per il ticino delle zone edificabili eccessivamente ampie e la gestione mirata delle riserve di terreni edificabili, ndr).. Secondo, le politiche errate sulle opposizioni: da otto anni abbiamo in giacenza in Gran Consiglio i ricorsi con la commissione per la legge edilizia. Oggi tutti hanno ricorsi e vanno nei tribunali, con il risultato che si creano meno appartamenti e i prezzi aumentano».
In passato lei ha detto che «in Ticino c'è gente che ama bloccare le cose belle, se gliene dai la possibilità», dunque nel nostro Cantone è difficile fare impresa?
«Sì, abbiamo fatto l’esperienza col Grand Hotel a Locarno, che è stato un mio momento di generosità. Ho preso un immobile fermo da 20 anni e ho voluto ridagli splendore, però mi costa molti sacrifici tra opposizioni, associazioni come la Stan e il Cantone. Ognuno fa il proprio mestiere ma ci vuole il massimo impegno, specialmente sulle opposizioni, quelle che ci stanno facendo i vicini di casa. E questo solo per aver voluto ristrutturare un Grand Hotel, che dà lustro a tutto il Locarnese e che sarà il primo Marriot in Ticino. Sono cose che faccio non per guadagnare dei soldi, è il contrario: lo faccio per il cuore verso la mia terra e per avere un Ticino moderno».
È questa la sua visione per il nostro Cantone?
«Un Ticino moderno con meno persone che prendano posizioni estreme, litigiose. Che si smetta di vedere il nemico nel tuo vicino di casa. Il buon senso non viene fuori dalla cultura del litigio, dell'aggressività, del voler bloccare l'altro per invidia, perché questa è una brutta cultura».
Quando le propongono un nuovo progetto, quali sono le sue prime domande?
«Prima di tutto la location. Che è quella più ambita in tutte le categorie. Per quella del lusso sono la vista lago, prima fila, appartamenti spaziosi. Ma oggi ad esempio a Lugano è impossibile trovarli, chi li ha non li vende. Per le altre categorie conta la vicinanza ai mezzi pubblici, a stazioni di tram e bus. Devi fare molta attenzione perché la mobilità per il cittadino moderno è quella di poter prendere la bicicletta e andare in stazione o andarci a piedi: stare il meno tempo possibile in auto e avere servizi vicini».
Cosa le piace di più e cosa meno del suo lavoro?
«Mi piacciono meno le riunioni infinite, quelle che partono al mattino alle 8.30 e finiscono alle sette di sera: sono le più devastanti, con tematiche finanziarie e legali. La cosa più bella invece è vivere e gustarsi la costruzione, il cantiere, la realizzazione: metti a frutto ciò che avevi disegnato sulla carta, quando faccio quello, torno a casa la sera che sono fresco».
A proposito, riesce ad avere del tempo libero?
«Sicuramente alla mia età un po' te lo vai a cercare. Nessuno mi ha detto di prendere in mano San Bernardino con gli impianti di risalita e dove investire, creare contenuti, eventi, alberghi e ristoranti. Lo so benissimo che questo comporta altro lavoro e difficoltà. Cerco però di equilibrare la mia vita: quando è estate me ne vado al mare o in montagna ma ho sempre un sistema di collegamento molto veloce, per fare riunioni online la mattina. Il cervello gira però sempre per 14-16 ore al giorno con il tema che devi risolvere, ma lo si deve vedere come piacere. Bisogna sempre pensare che il tempo passa, te ne accorgi che sei invecchiato e pensi a quanto tempo ti resta, devi capire che la vita non è solo lavoro, è anche piacere, socializzare, passare del tempo anche in modo stupido, a ridere e scherzare».
Con suo figlio Alain siete alla terza generazione in Artisa. Come padre cosa si sente di consigliare a un genitore che vorrebbe orientare i figli nelle scelte scolastiche e professionali?
«Devi capire chi è tuo figlio, il carattere e le attitudini che ha. Mio figlio a 15-16 anni mi disse che voleva fare teatro io gli ho detto "sì, a condizione che non mi vieni a chiedere soldi nella tua vecchiaia e che l'azienda poi la lascio ai miei dirigenti. Informati se sei in grado di sapere soffrire, dato che nell'arte non sempre si arriva alla fine del mese"».
Cos'ha deciso?
«Dopo sei mesi arriva e mi dice, "papà hai ragione, non sono fatto per arrivare a fine mese e non avere i soldi per vivere". Ho detto "ok ma devi fare quello che vuoi tu, non per forza quello che fa tuo padre". Poi quando mi ha chiesto di entrare in azienda gli ho detto di no, "lo potrai fare solo dopo che avrai imparato quattro lingue". Perché questa è la vera limitazione dell'imprenditore, le lingue. Dopodiché "ci entri partendo dal cantiere, per capire quello che poi andrai a fare. Se no non saprai quali sono le difficoltà e quale la tecnica, come far funzionare impresari e artigiani, insomma la gavetta. Perché non devi essere figlio di tuo padre"».
E adesso?
«Mio figlio è dal 2011 a fianco a me, ha sempre rispettato il mio ruolo di condottiero e le mie visioni. Con lui ho iniziato un percorso di condivisione, anche del rischio. L'imprenditore deve saper rischiare, se guadagni è perché rischi, ma ci sono due cose: il rischio è calcolabile e devi già vedere oggi quello che sarà il domani, altrimenti ci arrivano prima gli altri».
Cosa gli ha insegnato?
«Lui ora compirà 40 anni e ha quasi un'esagerazione di stima nei miei confronti. Mi vede quasi come un personaggio unico. Ma io gli dico che tutto è basato sul lavoro. Il successo si fa con la trasparenza e con il lavoro, non con gli intrallazzi. E poi non è vero che bisogna essere particolarmente intelligenti: bisogna essere in assenza di paura, cosa che accade quando tu vedi, così anticipi le paure perché hai le certezze. È la visione».
Quella del mercato immobiliare nei prossimi cinque anni?
«Comprare terra. Perché è il bene destinato a essere sempre più costoso e ce l'avranno in mano pochi: chi ha terra ha futuro, chi non l'ha non ha futuro».
Quali le tappe fondamentali del suo successo?
«Io ho iniziato a 18 anni con mio padre, che è andato in pensione quando io ne avevo 40, lì è stato il passaggio. Mi ha detto: "da adesso in poi fai quel che vuoi". A lui interessava il lavoro pratico e poco i soldi. Io mi sono guardato allo specchio e mi sono detto "sei sicuro che nel futuro avrai quel che tu pensavi?".
Quello di avere un futuro da imprenditore e di benessere.
«Tra i 40 e i 50 ho fatto il cambiamento e ho avuto una fortuna, i fondi: la mia intenzione era di stare bene ma poi ho avuto la fortuna di stare molto meglio. Era diventato un trend che potevo cavalcare come prima non ero in grado di fare».
Quali i fattori alla base del cambiamento?
«L'assunzione del rischio. Tra i 40 e i 50 anni ho iniziato a togliermi le paure arrivando a comprare terreni da 25 milioni. Mentre prima comprare solamente un appartamento da 400 mila franchi mi spaventava già. Secondo, la visione e terzo, ho messo il piede sull’acceleratore e ho detto "devo staccarlo al momento giusto". C'erano molti dubbi attorno a me ma col tempo, vedendo i vari successi e la realizzazione dei miei progetti, si è consolidato il rapporto con le banche, le istituzioni e il mondo immobiliare e finanziario. Soprattutto quest'ultimo è quello che ci ha aiutato, con i fondi sulla piazza di Zurigo. Nel 2013 nella visione c'era quello di andare sulle piazze principali a trovare capitali, investitori, compratori di immobili che noi producevamo».
Visionario, immobiliarista, imprenditore. Come le piace essere definito?
«La visione è il punto che mi dà più orgoglio. Nel 2015 ho inventato la catena City Pop (appartamenti arredati facili da prenotare, come una stanza d'hotel, ndr) che è rivoluzionaria: oggi siamo a circa quattro mila appartamenti tra Svizzera, Italia e Germania e stiamo crescendo sempre più con la nuova linea "Due Notti", affitti anche a corto termine e non solo a medio di sei-nove mesi. Questo a svecchiare il settore immobiliare: togliere il contratto, le garanzie, il deposito, i documenti. Ora si fa tutto solo con la carta di credito come garanzia. È una formula ideata per chi si sposta di continuo, come chi lavora in un'altra città, gli studenti internazionali o come il ticinese che lavora quattro giorni a settimana per le banche a Zurigo».
Siete anche in Ticino?
«Sì, la sfida del Ticino è stata una delle prime, una realtà abitativa senza vincoli che è stato un successo e che c'è già a Besso. Oggi sono quattro anni che c'è ed è al 100% full, sempre pieno. I clienti? Dal chirurgo estetico di Milano al dirigente di banca, dal dottore frontaliero che lavora alla Moncucco al figlio di papà che vuole uscire di casa con la compagna. Ma la maggior parte sono professionisti».
Consultando i siti di intermediazione immobiliare, si incappa spesso in annunci in lingua tedesca o con prezzi non proprio alla portata, segno che l'immobiliare locale guarda un po' meno all'affittuario ticinese?
«No. Ma certo dipende dalle zone. Per lo svizzero-tedesco il Locarnese è la nostra Rimini. Poi ad esempio tra Luganese e Bellinzonese la differenza è molto marcata. Per il Bellinzonese l'inquilino è local, per il Luganese è l'italiano che viene a vivere qua o altre realtà. Ma in queste due aree ci sono sostanzialmente inquilini locali. Solo per il mondo del lusso è così, ma è limitato, è uno zero virgola. Si tratta ad esempio di appartamenti venduti per 41 milioni sul lungolago a Lugano. Miliardari che vogliono roba bella, per lo più norvegesi, svedesi, molti italiani. A Collina d'Oro una grande fetta è rappresentata dai russi. Clientela che porta benefici al territorio, spende e lascia qui i soldi. Dobbiamo esseri aperti agli stranieri di un certo profilo».