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Fecondazione assistita: "L’Italia va avanti, la Svizzera resta indietro"

La donazione di ovociti rimane vietata. Un "anacronismo" per un Paese "meno soggetto a pressioni ideologiche" rispetto alla vicina penisola
Ti-Press (archivio)
Fecondazione assistita: "L’Italia va avanti, la Svizzera resta indietro"
La donazione di ovociti rimane vietata. Un "anacronismo" per un Paese "meno soggetto a pressioni ideologiche" rispetto alla vicina penisola
LUGANO - Commentando la svolta italiana sulla fecondazione eterologa, gli esperti delle cliniche ticinesi hanno colto l’occasione per attirare l’attenzione su una situazione tutta svizzera che alcuni trovano “paradossale”...

LUGANO - Commentando la svolta italiana sulla fecondazione eterologa, gli esperti delle cliniche ticinesi hanno colto l’occasione per attirare l’attenzione su una situazione tutta svizzera che alcuni trovano “paradossale” e “anacronistica”: nella Confederazione, infatti, mentre è possibile donare sperma, la donazione di ovociti rimane vietata. Le donne infertili, a differenza dei concittadini maschi con lo stesso problema, rimangono quindi costrette a “peregrinare fra Spagna, Ucraina e, ora, Italia”, inseguendo il proprio desiderio di maternità. Abbiamo parlato della problematica con il dott. Luca Gianaroli, direttore scientifico dell’Istituto internazionale di medicina della riproduzione alla Clinica Sant’Anna di Sorengo. Una revisione della normativa vigente sarà nel prossimo futuro al vaglio delle Camere federali, certo, ma “i tempi dei politici non sono gli stessi dei pazienti”, mette in guardia Gianaroli.

Dott. Gianaroli, come ha accolto le notizie provenienti dall’Italia?
"La cosa più urgente da dire, a questo punto, è che la Svizzera rimane indietro. È assolutamente anacronistico che ci sia ancora il divieto di donazione di cellule uovo: è una pratica diffusa e consolidata ormai da 35 anni. Non c’è nessun motivo per vietarla, soprattutto perché si rivolge a quelle donne che più soffrono per un’infertilità, quelle che hanno subito chemioterapie. Mi sembra schizofrenico che ci sia una sanità molto valida che cura una giovane donna da un tumore e la guarisce e poi uno Stato che le impedisce di fare una vita normale negandole la possibilità di avere un figlio".

Quale insegnamento si può trarre dal caso italiano?
"Se anche un Paese così difficile, contorto come l’Italia si è reso conto di un errore che aveva fatto dieci anni fa, c’è da chiedersi perché un Paese così evoluto e meno soggetto a pressioni di carattere ideologico come la Svizzera si stia ancora dibattendo dopo vent’anni, indeciso se modificare la legge oppure no. È una cosa che deve essere fatta rapidamente perché ogni anno noi perdiamo migliaia di pazienti svizzeri che sono costretti a emigrare per risolvere un problema che in realtà tecnicamente saremmo in grado di risolvere facilmente".

Un’iniziativa parlamentare per la revisione della legge del 1998 sulla procreazione assistita, però, è già pendente alle Camere federali.
"Sì, è così, però io non credo che i tempi dei politici siano gli stessi dei pazienti che hanno bisogno. Credo che qualcuno debba davvero dare una svolta a queste cose".

La legge attuale crea una discriminazione fra uomini e donne?
"La situazione è paradossale. Se sei un ragazzo di 18 anni che ha un tumore, puoi diventare padre come cittadino svizzero in Svizzera. Se sei una ragazza 18enne con un tumore, invece, la legge svizzera ti vieta di diventare madre e devi iniziare a peregrinare fra Spagna, Ucraina e, adesso, Italia. Mi sembra veramente anacronistico".

È possibile che il flusso dei “turisti della procreazione” s’inverta? Che le donne svizzere inizino a recarsi in Italia?
"Sì, ci sarà un’inversione di flussi verso l’Italia. Quello che noi chiamiamo ‘International reproductive care’, e non più ‘turismo riproduttivo’, presenta dei flussi migratori molto importanti da un Paese all’altro. Non sono influenzati solo dalle legislazioni, ma anche da considerazioni economiche. Esistono voli charter che portano pazienti inglesi nei Paesi dell’Est dove i trattamenti costano molto meno, per esempio".

Quali altri punti critici presenta, secondo lei, la legislazione svizzera vigente?
"Nell’ambito della diagnosi preimpianto riscontro una discriminazione fra i due sessi che mi stupisco che nessuno abbia mai sollevato. Partiamo dal presupposto che la diagnosi preimpianto sull’embrione è illegale. Se è la donna ad avere una patologia severa, tuttavia, noi possiamo senz’altro scartare le cellule uovo che non vanno bene. Se è l’uomo ad avere la stessa identica patologia, invece, essendo vietato fare la diagnosi preimpianto sull’embrione e non avendo modo di effettuarla sullo spermatozoo, non possiamo fare nulla".

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