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«La mia casa considerata fuori dal mondo, così quei profughi hanno rifiutato l'accoglienza»

VERDABBIO«La mia casa considerata fuori dal mondo, così quei profughi hanno rifiutato l'accoglienza»

31.03.22 - 08:33
Troppo lontana dalla città. È quanto si è sentita rispondere la mesolcinese Cristina Motalla: «Sono stata umiliata».
Lettore Tio/20Minuti
«La mia casa considerata fuori dal mondo, così quei profughi hanno rifiutato l'accoglienza»
Troppo lontana dalla città. È quanto si è sentita rispondere la mesolcinese Cristina Motalla: «Sono stata umiliata».
Il volontario che ha gestito la vicenda: «Ci sono persone che si adattano, altre no». Nataliia Vassalli, presidente di InTempo: «Questa gente è sconvolta ed è abituata a vivere in grandi aree urbane».

VERDABBIO (GRONO) - «Ho messo a disposizione dei profughi ucraini parte della mia casa, ma non è arrivato nessuno. Mi è stato detto che sono troppo in periferia, fuori dal mondo». Dal mare di tragedie e di solidarietà legato al conflitto russo-ucraino spunta anche una storia del genere. Arriva dall'incantevole Verdabbio, in Mesolcina. E l'abitazione in questione, va subito precisato, è tutt'altro che di serie B. Amareggiata Cristina Motalla, la donna che ha tentato invano di fare un gesto di cuore. «Mi sono sentita umiliata. Dapprima dal volontario che è venuto a fare il sopralluogo. E poi dalle due o tre famiglie che, una volta visti video e foto, hanno rifiutato». 

Camera con vista – I fatti risalgono a una decina di giorni fa. Cristina, desiderosa di fare la sua parte, decide di intraprendere l'iter per ospitare almeno due persone. Nella sua casa infatti ha una camera appartata con bagno e doccia e anche un bel balcone con vista sul verde. «Si tratta di una parte della casa che avevamo appena riattato. Quando io e i miei famigliari abbiamo visto che la guerra stava degenerando, ci siamo subito messi la mano sulla coscienza e ci siamo detti che avremmo dovuto fare qualcosa». 

«Il volontario diceva che qui non c'è neanche un negozio» – Tra una telefonata e l'altra Cristina entra in contatto con un'associazione del Luganese che si occupa di piazzare le persone sfollate. «E così un giorno, di tardo pomeriggio, arriva un volontario, una persona ucraina che vive in Ticino da tanti anni, per visionare il tutto. Già il primo approccio non è stato il massimo. Ha cominciato a fare commenti piuttosto sprezzanti sul paese, sostenendo a torto che non ci fosse neanche un negozio. Vorrei ricordare che abitiamo a cinque minuti d'auto da Grono, dove praticamente ci sono tutti i servizi. E poco più giù c'è Roveredo». 

Una risposta che lascia di sasso – Il volontario fa foto e video della sistemazione proposta da Cristina e promette di farle sapere qualcosa a breve. «Quando però mi accorgo che non si fa vivo, sono io a chiamarlo. E la risposta mi ha lasciata di sasso. Il volontario sosteneva che lui aveva fatto girare foto e video ma che nessuno fosse disposto ad andare in un posto così fuori mano e lontano dall'area urbana. Mi sono fatta tante domande: in televisione vedo gente che scappa dalle bombe, qui dove vivo io è un paradiso. Chi sarebbe venuto avrebbe avuto anche una certa discrezione. Non capisco». 

«Abituati a vivere in grandi città» – Tio/20Minuti ha rintracciato il volontario dell'associazione del Luganese per capire qualcosa di più di questa vicenda. «È vero quello che dice la signora – conferma l'uomo –. Nessuna delle persone a cui ho inviato foto e video ha accettato di andare a Verdabbio. Bisogna pensare che questa è gente che fino a un mese fa viveva in grandi città. È turbata. Sotto choc. Ha bisogno di essere integrata il più possibile in un contesto urbano. Soprattutto ha la necessità di avere tutti i servizi a portata di mano, e desidera avere la possibilità di imparare l'italiano». 

«Qui gli sfollati avrebbero trovato calore umano» – «Ma Verdabbio si trova in Mesolcina, non sull'Everest – sospira Cristina –. La nostra è una comunità unita. Qui chiunque avrebbe trovato calore e avrebbe potuto imparare la lingua. Io ero pronta ad accogliere persone di ogni tipo o estrazione sociale». Il volontario confessa però di avere a che fare con più tipologie di profughi. «La maggior parte si adatta alle varie situazioni. Ci sono però anche persone che pretendono determinati standard. Ce ne rendiamo conto sia per la ricerca di abitazioni, sia per la distribuzione di beni di prima necessità quando assistiamo a scene di prepotenza. A volte io stesso perdo la pazienza. Non è facile. A me spiace molto per la signora Cristina che aveva messo a disposizione la sua casa con tutto l'affetto possibile».  

«Gli ucraini vogliono stare uniti e sognano di tornare in patria» – Nataliia Vassalli, presidente dell'associazione InTempo (non si tratta della stessa associazione a cui si era rivolta Cristina, ndr), si occupa quotidianamente di profughi ucraini e di ucraini rimasti in patria. E ci tiene a fare una precisazione importante. «Non è giusto pensare che i profughi siano snob solo perché rifiutano una casa in una zona periferica. Bisogna considerare che questa gente è scappata di colpo dal proprio paese. Da città enormi in cui non si vede mai neanche una mucca. È disposta magari a stare in bunker di 200 persone pur di restare unita. Tutti gli ucraini sognano al più presto la pace e dunque di potere tornare a casa. E quindi in questo momento hanno il desiderio di stare tra di loro, anche per farsi coraggio a vicenda. Trasferirsi in una località discosta, senza conoscere nessuno, può essere un ulteriore stress psicologico. Certo, ci sono comportamenti poco gradevoli da parte di alcuni miei connazionali. E mi scuso a nome loro. Però si tratta di gente completamente sconvolta». 

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