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Il mercato del lavoro respinge i rifugiati

Il Ticino con la percentuale d’impiego tra le più basse per chi fugge da guerra e violenze. La crisi ha colpito anche la ristorazione
Keystone
Il mercato del lavoro respinge i rifugiati
Il Ticino con la percentuale d’impiego tra le più basse per chi fugge da guerra e violenze. La crisi ha colpito anche la ristorazione
BELLINZONA - Un tetto sicuro, cibo nel piatto, ma nemmeno l’ombra di un lavoro. Il basso tasso di occupazione dei rifugiati (quelli che hanno ottenuto il permesso B) spicca tra i dati appena aggiornati dalla Segreteria di Stato della migrazione...

BELLINZONA - Un tetto sicuro, cibo nel piatto, ma nemmeno l’ombra di un lavoro. Il basso tasso di occupazione dei rifugiati (quelli che hanno ottenuto il permesso B) spicca tra i dati appena aggiornati dalla Segreteria di Stato della migrazione: in Svizzera su un totale di 33.814 rifugiati, di cui  22.011 persone potenzialmente attive, solo 6.022 svolgono un’attività, in pratica il 27,4% di quelli in grado di lavorare. Percentuale che crolla nei cantoni di frontiera come Ginevra, fanalino di coda con l’11,2% dei rifugiati che hanno trovato lavoro e il Ticino con il 15% (81 persone occupate). Terra d’asilo e di lavoro sono invece cantoni come Zurigo (34,1%), Lucerna (34,9) e Nidvaldo (in testa con il 51%, ma qui i numeri sono piccoli).

Una spiegazione arriva dalla deputata socialista Lisa Bosia Mirra: «È un altro segnale del deterioramento del mercato del lavoro in Ticino che si ripercuote anche sui rifugiati». Si tratta spesso di persone, continua la granconsigliera, «che hanno una formazione bassa o non riconosciuta. Gli impieghi che potrebbero trovare, ad esempio in fabbrica o nella ristorazione, sono però spesso già occupati dal frontalierato». Problemi di lingua e diplomi mancanti (o difficilmente parificabili) stoppano soprattutto gli adulti. «Per i giovani va un po’ meglio, soprattutto per chi inizia qui un apprendistato. Imboccare invece una formazione superiore è invece un’impresa titanica per questi ragazzi».

La concorrenza del frontalierato viene sostanzialmente confermata anche da Rebecca Simona del Servizio In-Lav di Soccorso Operaio, in prima linea nel favorire l’integrazione dei rifugiati nel mondo del lavoro. «Esistiamo da dieci anni e dietro ogni inserimento c’è un lungo lavoro. Certo in questo momento l’economia ticinese ci gioca contro. Da questo punto di vista per ogni persona che arriva in Svizzera venire assegnati a un cantone piuttosto che a un altro rappresenta una sorta di lotteria. E il Ticino non è oggi un biglietto fortunato».

In-Lav si occupa di quasi 600 persone e ogni operatore gestisce un centinaio di dossier: «È difficile fornire una consulenza super-personalizzata. Inoltre spesso si è costretti ad inserire i rifugiati in posizioni che non sono quelle da loro ambite». Ma anche qui è il mercato del lavoro che detta legge: particolarmente sofferente appare il settore della ristorazione: «Notiamo che molti tornano da noi per annunciarci di aver perso il lavoro. La reazione è quella di voler andare in un altro cantone. Perché cercano come tutti più stabilità». Una luce di speranza arriva dai giovani rifugiati in formazione: «Un apprendistato e il diploma danno più occasioni di inserimento».

 

Rifugiati in formazione: a Moncucco c'è IntegraTI

A luglio inizia, con un pretirocinio, il terzo anno del progetto IntegraTI alla Clinica Luganese. A Moncucco la coordinatrice Silvia Bello ha appena concluso i colloqui con i candidati (sei prescelti su 20 richieste). «Il bilancio è positivo - spiega -. Serve una buona capacità di studio, perché offriamo un posto di formazione. Dopodiché il carattere fa la differenza». La scelta è tra assistente di cura, pasticcere, addetto di cucina, di ristorazione e di economia domestica.

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