Filippo Rossi, il giornalista ticinese arrestato e poi liberato in Venezuela, attacca le istituzioni elvetiche. E scatta pure un'interrogazione di Marco Chiesa
LUGANO - «Mi è mancato il supporto da parte di Berna quando mi trovavo in carcere». Sono parole pesanti quelle rivolte alle istituzioni elvetiche da Filippo Rossi, il giornalista ticinese arrestato e poi liberato in Venezuela lo scorso fine settimana.
Il giornalista racconta che la diplomazia elvetica gli ha suggerito di «prendere un avvocato pubblico» o di farsi «rappresentare da quello di Di Matteo» (il collega italiano finito in cella con il giornalista ticinese, NDR).
Sul caso - diventato a questo punto pure politico - è intervenuto anche il consigliere nazionale UDC Marco Chiesa che tramite un'interrogazione parlamentare chiede che «si faccia chiarezza sul ruolo della diplomazia elvetica» in questa vicenda.
Jean-Marc Crevoisier, capo dell'informazione del DFAE interpellato dalla RSI, difende l'operato della diplomazia elvetica. «Quello di Rossi è un caso esemplare. Essere liberati dopo 48 ore da un carcere venezuelano parla per un'efficacia delle procedure che è da elogiare». Crevoisier sottolinea poi che la diplomazia svizzera ha collaborato a stretto contatto con le autorità italiane, suddividendosi i compiti.