Le rapine nei distributori di benzina preoccupano la polizia, ma anche i sindacati. Lo sfogo di una commessa: «La gente non sa a che prezzo corriamo questi rischi».
LUGANO. Ci sono pompe di benzina dove i rapinatori sono “clienti fissi”. Il record è del distributore Tamoil di San Pietro di Stabio: dieci rapine dall'apertura a oggi. Anche all'Eni-Piccadilly di Ligornetto, preso di mira ieri da un malvivente armato di coltello, non era la prima volta: «Abbiamo già subito un paio di rapine» spiegano i dipendenti, che ormai sembrano averci fatto il callo.
Mestiere a rischio - Il sangue freddo non manca. Ma mentre la polizia lavora alle indagini (9 i casi aperti solo negli ultimi 12 mesi, la maggioranza nel Mendrisiotto) anche i sindacati sono all'opera. Una commessa del Luganese – che precisiamo, non lavora presso i distributori suddetti – ha accettato sotto anonimato di raccontare a tio.ch/20minuti come stanno le cose “dall'altra parte della cassa”. «Il nostro è un mestiere a rischio» spiega «ma quello che la gente non sa è a che prezzo, per fortuna non in tutti i negozi, corriamo questo rischio».
La polemica - Il problema è più che mai d'attualità. Un contratto collettivo di lavoro per il settore doveva entrare in vigore, per la prima volta, proprio in queste settimane: ma dal Ticino sono partiti 4 ricorsi (sui 5 presentati in tutta la Svizzera). Il nodo? È il salario. «Le addette alla vendita lavorano spesso da sole e sono esposte a grossi rischi, come dimostrano questi fatti di cronaca» afferma Giangiorgio Gargantini di Unia. «La paga minima proposta, di 3600 franchi al mese, ci sembra più che giustificata». Ma non a tutti sta bene. Matteo Centonze, presidente dell'Associazione ticinese stazioni di servizio (Atss) ha dichiarato la cifra «fuori dalla realtà».
La testimonianza - Di sicuro è lontana da quello che offrono alcuni distributori: «Ho lavorato fino a poche settimane fa come frontaliera in una pompa di benzina dove percepivo una paga oraria di 8 franchi» racconta A.* carte alla mano. «Avevo un contratto a ore: sulla carta ne facevo 120 al mese, in realtà arrivavo anche a 190». Il conto è presto fatto: 1500 franchi al mese. Un caso limite, ma secondo Gargantini «i salari in Ticino si stanno avvicinando purtroppo a questi livelli. Per questo urgono interventi». Alla fine A. si è licenziata. «Per tanto così - conclude - non ne valeva la pena. Ora per fortuna ho trovato un posto migliore, ma ho dovuto cercare a lungo».
* nome noto alla redazione