Una risonanza magnetica di troppo

Medici di famiglia dalla prescrizione troppo facile: «Trattamenti inutili, talvolta rischiosi e costosi»
ZURIGO - In Svizzera, come in molti altri Paesi, il mal di schiena è un disturbo molto comune: colpisce circa quattro persone su cinque almeno una volta nella vita. Tuttavia, nella maggior parte dei casi (circa l’85%), non se ne riesce a identificare una causa precisa, e nella stragrande maggioranza dei casi (nove su dieci) il dolore si risolve spontaneamente entro sei settimane.
Nonostante queste evidenze, un recente studio condotto da un team guidato dalla dottoressa Maria Trachsel ha mostrato che molti medici svizzeri continuano a prescrivere esami diagnostici inutili e trattamenti inappropriati per i pazienti con mal di schiena, anche quando non ci sono segnali d’allarme come paralisi o sospetti tumori. I ricercatori hanno sottoposto a più di 1.200 medici di base due casi clinici tipici di mal di schiena non specifico: i risultati hanno evidenziato una diffusa tendenza a raccomandare esami per immagini (come risonanze magnetiche e TAC), farmaci rischiosi (tra cui oppioidi), o persino il riposo assoluto, tutte pratiche sconsigliate dalle linee guida internazionali.
Un approccio che genera costi inutili - Questo approccio non solo genera costi inutili per il sistema sanitario – una risonanza magnetica può costare fino a 500 franchi – ma comporta anche rischi per i pazienti, come il peggioramento del dolore, la cronicizzazione del disturbo o lunghi periodi di assenza dal lavoro. In particolare, gli esami per immagini spesso producono “risultati incidentali”: alterazioni strutturali della colonna che possono sembrare gravi ma non sono in realtà correlate al dolore, alimentando così l’ansia del paziente e inducendo trattamenti non necessari.
Anche l’uso di antidolorifici contenenti oppioidi è fortemente sconsigliato: non ci sono prove che siano efficaci per il mal di schiena non specifico, e possono provocare dipendenza e addirittura portare alla morte. Eppure, continuano a essere prescritti.
L’associazione “Smarter Medicine”, presieduta dal professor Nicolas Rodondi, si batte per un uso più razionale delle cure mediche, promuovendo liste di trattamenti da evitare in vari ambiti. Lo studio ha mostrato che circa il 75% dei medici conosce queste raccomandazioni, ma pochi le applicano in modo coerente nella pratica. Le ragioni sono molteplici: formazione non aggiornata, corsi sponsorizzati dall’industria farmaceutica che promuovono nuovi farmaci o tecnologie anziché strategie di "non intervento", timore da parte dei medici di trascurare qualcosa, e la pressione dei pazienti che chiedono test o cure specifiche (come risonanze o iniezioni) anche quando non sono giustificate.
Esami diagnostici più facili - Un altro fattore cruciale è il tempo: spiegare a un paziente perché un esame non è necessario richiede almeno dieci minuti, mentre prescrivere una risonanza richiede solo uno. Rodondi sottolinea che spesso, quando il medico si prende il tempo per spiegare bene la situazione, i pazienti accettano con tranquillità di evitare esami o trattamenti inutili. Inoltre, dal punto di vista economico, questo approccio sarebbe vantaggioso: una visita da 10 minuti costa 30 franchi, contro i 500 di un esame diagnostico.
Per cambiare davvero le cose, secondo Rodondi, è necessario agire su più fronti. Innanzitutto, serve una formazione migliore e più aggiornata per i medici. Poi, è importante che i pazienti siano più consapevoli del significato e delle implicazioni delle cure che ricevono. Ma soprattutto, potrebbe rivelarsi molto efficace introdurre un sistema di feedback personalizzato per i medici. In uno studio condotto negli Stati Uniti, per esempio, è stato sufficiente confrontare il numero di trasfusioni effettuate da ogni medico con quello dei colleghi per ottenere una riduzione del 30% delle trasfusioni inutili.
Attualmente, in Svizzera, un sistema simile non è ancora possibile perché mancano dati individuali sui comportamenti clinici. Tuttavia, il progetto “Digisanté”, promosso dal governo federale per digitalizzare il sistema sanitario, potrebbe in futuro consentire la raccolta di questi dati. Secondo Rodondi, questo passo avanti permetterebbe non solo di ridurre i costi, ma anche di offrire ai pazienti cure più appropriate, evitando interventi non necessari e potenzialmente dannosi.