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CANTONE / SVIZZERA

«Una figlia della globalizzazione, cresciuta a Gordola»

KimBo ci ha raccontato il suo nuovo album "Weg Gah", che mescola l'hip hop con l'Afrobeat, il Reggaeton e tanto altro
SARAH MAURER
«Una figlia della globalizzazione, cresciuta a Gordola»
KimBo ci ha raccontato il suo nuovo album "Weg Gah", che mescola l'hip hop con l'Afrobeat, il Reggaeton e tanto altro

BASILEA - Sfaccettato, multiforme, pur essendo un vero e proprio concept album che indaga sullo stress e la pressione che gravano sugli artisti e, in senso più ampio, gli esseri umani. È "Weg Gah", il nuovo lavoro di KimBo. La rapper cresciuta in Ticino, ora con base oltre Gottardo, ha ibridato la sua narrazione hip-hop con influenze latine che vanno dall'Afrobeat al baile funk brasiliano, con un risultato che suona fresco, molto ricco di sfumature ed estremamente contemporaneo.

Kim, quanto influisce la pressione su di te, come artista e come donna?
«L'ultima traccia del disco si chiama "Backstage" e riassume la pressione che ho sentito come artista. Arrivo da due anni di pausa, dopo aver detto "Ciao, me ne vado, ho bisogno di una pausa". È stato lo sfogo per la delusione con cui un musicista deve fare i conti, in Svizzera, se vuole vivere della propria arte. C'è tanta pressione nella richiesta di una qualità alta e nell'essere in concorrenza con tutto il mondo. T'impegni, cerchi di crearti le giuste connessioni, ma non hai le risorse. Quindi devi avere un lavoro che alleggerisca almeno la pressione economica. E poi si sgomita moltissimo per cercare di emergere - e si crea un clima tossico».

Cosa ti ha spinto a rimetterti in gioco?
«Appena ho comunicato la decisione di prendere una pausa si è fatta viva una publisher, Leni di Black Seller Music, che mi ha fatto una proposta di collaborazione. Inizialmente ho detto di no, poi ci ho pensato su e mi sono detta che lavorare all'interno di un team sarebbe stato diverso. Abbiamo elaborato un concetto artistico sulla base di alcune tracce che avevo già preparato e mi ha spinta e motivata molto. Tra l'altro è stata lei a farmi conoscere Mykel Costa».

Lui, che è il produttore principale del disco, ha lavorato con dei pesi massimi come Loredana e Guè.
«Ci siamo trovati molto bene e ci accomuna il fatto di essere a cavallo tra la scena svizzero-tedesca e quella italofona. Abbiamo creato un prodotto di alta qualità».

È un album multilingue, come peraltro sei tu e come sono stati altri tuoi lavori in passato.
«Mio marito mi sente parlare in svizzero tedesco, in italiano, ma con delle frasi in spagnolo e in inglese (ride, ndr). È un mix nella vita, come nella musica».

Cosa significa il titolo?
«È un gioco di parole che, in tedesco, si può leggere in due modi: "weggehen", allontanarsi dallo stress, oppure "Weg gehen", trovare la propria strada. Sono le anime di questo album: le cose da cui voglio scappare, che non mi fanno bene, ma anche la bussola interiore che mi dà la forza di non accettare compromessi».

Quali tematiche senti più tue, in questo momento?
«Lottare a livello economico, in un sistema molto capitalista, è al centro del brano "Hustle Culture". Una cosa a cui tengo molto è l'essere fedeli a se stessi, mantenendo la propria integrità. È un aspetto davvero importante per me, anche se a un primo impatto potrebbe rivelarsi la strada più difficile».

A proposito di pluralità, cosa racconta di te questa grande varietà musicale che troviamo nel disco?
«Racconta che sono una figlia della globalizzazione, che è cresciuta in un piccolo paesino di nome Gordola guardando i videoclip di MTV, con molto rap e R&B. Tra le altre influenze c'è "Gasolina" di Daddy Yankee e, con il passare degli anni, sempre più artiste. Tra l'altro, ci siamo limitati a un certo numero di generi, accantonando volutamente la trap e il classico boom bap...».

Lo possiamo considerare il lavoro della tua maturità?
«In questo momento lo è, sicuramente. Con il passare degli anni, però, si cambia e sono curiosa di vedere cosa sarò diventata tra 10 o 20 anni».

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