Il consulente della Procura attribuisce la «concausa» del decesso del 19enne Ramy Elgaml allo schianto con il palo semaforico.
MILANO - La notte del 24 novembre scorso Ramy Elgaml, un ragazzo 19enne di origine nordafricana, perse la vita dopo una drammatica fuga dai carabinieri per le strade di Milano. Il giovane era in sella a uno scooter, guidato da un suo amico ventiduenne. La Procura del capoluogo lombardo aprì un'inchiesta a seguito dell'incidente stradale, indagando inizialmente per omicidio colposo tre carabinieri (uno per omicidio stradale e due per depistaggio e favoreggiamento) che avevano inseguito i due ragazzi, scappati all'alt dei militari.
Il «comportamento conforme» del carabiniere alla guida
Nei giorni successivi, da Milano a Roma, proteste - a tratti anche violente - chiedevano "verità" e "vendetta per Ramy", la giovane vittima. Oggi a distanza di circa 4 mesi dai fatti, il consulente della Procura scagiona da ogni responsabilità «l'operato del conducente dell'autovettura Giulietta nell'ambito dell'inseguimento», che «risulta essere stato conforme a quanto prescritto dalle procedure in uso alle Forze dell'Ordine». A riportare il contenuto della relazione tecnica è l'agenzia Agi.
Anche per quanto riguarda gli attimi conclusivi dell'inseguimento, «il Vice Brigadiere conducente dell'autovettura di servizio (...) si è trovato nell'impossibilità di poter attuare un'azione difensiva efficace in relazione alla manovra improvvisa ed imprevedibile attuata dal conducente del motoveicolo, di taglio della propria traiettoria». Concludendo che «la risposta» così come la «reazione» del militare sono state «adeguate e controllate».
«Il palo semaforico»
Dunque «concausa determinante dell'evento che ha cagionato il decesso» del giovane, secondo l’ingegnere che ha firmato la perizia cinematica, «è stata, purtroppo, determinata dalla presenza del palo semaforico che ha arrestato la caduta del trasportato, bloccandone la via». Nello specifico, «l'investimento del corpo del trasportato» è stata «evoluzione non prevedibile».
La «guida spregiudicata» del fuggitivo
Infine un accenno del consulente a chi quello scooter lo guidava, l'amico della vittima, indagato per omicidio stradale. La sua scelta di non fermarsi all'alt dei militari causò ·«un inseguimento anomalo e tesissimo, a elevatissima velocità lungo la viabilità urbana cittadina, con una guida spregiudicata ed estremamente pericolosa». Un comportamento «sprezzante del pericolo», quello di chi guidava il motociclo, che «ha determinato l'inseguimento», assumendosi così «il rischio delle conseguenze, per sé» e per il passeggero. Per l'esperto in sostanza le responsabilità sono attribuibili allo scooterista e non al carabiniere, che si sarebbe comportato in maniera corretta.