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Coronavirus, il bullismo verso i cittadini cinesi non è terminato

La storia di Angela Chen, presa di mira a scuola. Ma i suoi compagni hanno reagito e mostrato solidarietà.
Angela Chen
Coronavirus, il bullismo verso i cittadini cinesi non è terminato
La storia di Angela Chen, presa di mira a scuola. Ma i suoi compagni hanno reagito e mostrato solidarietà.
La situazione, un anno dopo, è migliorata, ma non "guarita" del tutto: «Non esco tranquilla, temo ancora brutti scherzi».
BRESCIA - Non solo le preoccupazioni per parenti e amici lontani, ma anche la diffidenza degli Italiani: questo hanno passato i cinesi che vivono in Italia e che, a partire dal dicembre 2019, si erano ben resi conto della gravità del problema ...

BRESCIA - Non solo le preoccupazioni per parenti e amici lontani, ma anche la diffidenza degli Italiani: questo hanno passato i cinesi che vivono in Italia e che, a partire dal dicembre 2019, si erano ben resi conto della gravità del problema Coronavirus, grazie ai contatti diretti e le notizie lette in lingua. Ma per loro il problema era anche in Italia, perché all’inizio furono additati come “untori”: capitò lo scorso febbraio ad Angela Chen, studentessa in un istituto tecnico di Brescia e nata in Italia da genitori originari del sud della Cina, dove vivono ancora i nonni.

La ragazza, insieme a un’amica, subì vari episodi di discriminazione, ma visse pure una bella esperienza di solidarietà. «Un giorno ero in stazione con un’amica e ho starnutito quattro volte – ricorda - un gruppetto di quattro ragazzini, due femmine e due maschi, mi ha apostrofata con ‘Coronavirus’; la mia amica ha reagito, li ha affrontati e ne è nato un alterco, durante il quale ho fotografato il gruppo e ho spedito subito le foto alla chat della mia classe». Dalle foto si scoprì che il gruppo frequentava una classe del biennio della stessa scuola; al che i compagni di classe di Angela decisero di affrontarli, non con la violenza, bensì con il ragionamento perché la valutazione unanime fu: «in fondo sono ragazzini che hanno fatto un’azione stupida, noi glielo abbiamo fatto capire nel modo più corretto e alla fine i quattro hanno ammesso di aver sbagliato e si sono scusati».

La classe dell’allora IV d'indirizzo turistico (dove si studia il cinese) ha fornito una lezione di serietà e civiltà, senza cedere alle espressioni violente che invece si moltiplicavano sempre di più contro i cinesi. Ma tutto l’istituto volle reagire: in un’assemblea tra tutti gli studenti e i professori si decise di esporre, nell’atrio d'ingresso della scuola, tre cartelli scritti in Cinese e Italiano con frasi d'incoraggiamento tipo «non preoccuparti tutto passerà» e «forza Cina», a sottolineare che la solidarietà non va esclusivamente a un’amica ma a tutto un Paese.

A un anno di distanza la situazione è un po’ cambiata: «ora non succedono più così spesso episodi spiacevoli ma non esco tranquilla, temo ancora brutti scherzi - ammette Angela che, come tutti i suoi coetanei, sta vivendo una modalità di fare scuola molto diversa - dopo tanta Didattica a distanza ad non ce la faccio più, mi manca la classe, lo stare insieme dopo la lezione, le relazioni con i professori e con i compagni».

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