Cambio di sigle, chiusa l’era della Cooperativa, nasce la Federazione apicoltori: «L’annata è andata bene, ma ci sono segnali che ci preoccupano» dice il presidente Davide Conconi
BELLINZONA - Come miele di acacia si è sciolta la storica Società cooperativa ticinese di Apicoltura (STA) iscritta a Registro di commercio nel 1960 e forte di oltre 500 membri. Ma la notizia riportata dall’ultimo Foglio Ufficiale non è amara. Si tratta infatti di un cambiamento di forma giuridica, «più coerente con i compiti odierni» spiega il presidente degli apicoltori Davide Conconi. Detto altrimenti, da tempo, l’ente si era staccato dagli scopi commerciali e cooperativi per cui la STA era nata oltre un secolo fa, occupandosi invece oggi attivamente di divulgazione, formazione, sostegno e promozione del settore. D’ora innanzi si parlerà di FTA, la Federazione Ticinese Apicoltori che è stata varata a inizio dicembre. Insomma il miele ticinese STAva bene, ora FTA anche meglio.
«Qualche moria» - Non cambiano invece scopi, comitato e presidenza che da un decennio è ricoperta da Conconi. L’occasione è ghiotta per tracciare un bilancio della stagione e dei problemi aperti. Gli apicoltori e più ancora le api sono antenne privilegiate sul territorio e come sismografi registrano il bene e il male delle stagioni. «L’annata è andata abbastanza bene con castagno e tiglio, in certe vallate molto bene, decisamente meglio che al nord delle Alpi o in Italia» nota Conconi. «Le api adesso sono a riposo. Abbiamo segnalazioni di qualche moria. Ci sono colonie che si svuotano ed è un classico collasso che sembra soprattutto dovuto all’azione dell’acaro parassita Varroa».
«Preleviamo solo gli interessi» - Questo è un mondo affascinante anche nei mesi freddi: «Le api d’inverno si raggruppano in un glomere, fanno “palla” dentro l’alveare attorno alla regina e abbassano il metabolismo. Il miele prodotto serve loro per svernare». Una parte almeno, e comunque quella preponderante: «Gli apicoltori prelevano solo gli interessi del lavoro della colonia di api che, in media e a dipendenza da luogo, clima e altri fattori, produce e consuma 200 chili di miele all’anno. Noi ne preleviamo circa il 10 per cento, in due momenti dell’anno».
La previsione è prematura - Proprio dove la stagione è andata meglio, continua il presidente, «adesso si registra qualche perdita. Quando c’è una forte produzione spesso dopo le colonie pagano pegno. Empiricamente si osserva questo». Detto del passato prossimo e del presente, non molto si può prevedere per il domani: «Dipenderà come sempre dalla primavera ed è prematuro parlarne ora. Ma ci sono segnali che un po’ ci preoccupano».
Un trend in crescita - Non desta timori invece l’associazione che nell’ultimo decennio ha visto aumentare i propri soci di circa il 10 per cento: «Oggi abbiamo 530 membri. Il Ticino segue il trend nazionale». A spingere verso questa passione ci sono vari fattori: «C’è un avvicinamento alla natura e ai prodotti del territorio. Ciò avviene attraverso un essere, l’ape, che affascina sotto molti punti di vista, non ultimo l’organizzazione. Inoltre per approcciare le api occorre calma e tranquillità». Doti da coltivare in questa epoca di stress.