Nel 2018 i reparti d’emergenza dell’EOC hanno registrato 178’500 pazienti. Lepori: «Molti non hanno il medico di famiglia»
LUGANO - Ormai è quasi una tradizione: con la stragrande maggioranza degli studi medici chiusi durante le festività, i pazienti si riversano numerosi nei reparti di pronto soccorso ticinesi. Con un conseguente aumento dei tempi d’attesa. «È situazione che si riscontra ogni anno e che si ripresenta, seppure in maniera meno importante, anche durante le vacanze di Carnevale, il periodo di Pasqua e nei mesi estivi» conferma il dottor Mattia Lepori, vicecapo dell’Area medica dell’Ente ospedaliero cantonale (EOC).
In generale nelle strutture ticinesi un aumento delle consultazioni si osserva comunque nel corso di tutto l’anno: sono infatti sempre di più le persone che optano per il pronto soccorso invece di prendere un appuntamento con il medico di famiglia. Se nel 2016 i reparti d’emergenza avevano registrato 148’000 consultazioni, lo scorso anno erano invece 178’500 (i dati sono relativi a tutti i tipi di pronto soccorso: generale adulti, pediatria, ginecologia e oftalmologia all’Italiano). Negli ultimi due anni si constata dunque un incremento del 20%.
Urgenze che potrebbero aspettare - Si tratta sempre di questioni urgenti? Non secondo i dati forniti dall’EOC: le emergenze vitali (grado 1) rappresentano infatti circa il 6% dei casi. Il 20% riguarda poi le urgenze medico-chirurgiche (grado 2). La maggior parte dei pazienti si presenta invece al pronto soccorso con urgenze differibili (60%) o situazioni non urgenti e controlli (14%). «Da notare - sottolinea il dottor Lepori - che nel gruppo delle urgenze differibili un quarto dei pazienti necessita comunque di un ricovero ospedaliero dopo la visita».
Pazienti indirizzati ai consultori - Per sgravare i reparti di pronto soccorso, gli ospedali ticinesi si appoggiano su una rete di consultori per medicina d’urgenza. Sono strutture a cui vengono indirizzati quei pazienti che non necessitano di una visita d’emergenza: in media accolgono il 15% dei pazienti (si tratta del 25% se si considera soltanto il numero agli adulti, visto che per i bambini non esistono consultori), ci spiega il medico.
Giovani senza medico di famiglia - Nei reparti di pronto soccorso il lavoro continua comunque ad aumentare. Come si spiega? «Molta gente - afferma ancora il nostro interlocutore - non ha il medico di famiglia, soprattutto tra le fasce di popolazione più giovane». Secondo un recente studio che prendeva in considerazione il Canton Berna, si tratterebbe del 45% delle persone. E non solo: «In certe zone periferiche si comincia a sentire la penuria di medici di famiglia con studi che chiudono senza trovare un sostituto».
La questione dei costi - Il pronto soccorso ha un suo prezzo. E ci si chiede dunque in quale modo l’aumento dei pazienti influenzi i costi della salute. «L’affermazione che una visita al pronto soccorso generi più costi che una dal medico di famiglia non è provata in modo assoluto. Anzi, il recente rapporto dell’Osservatorio svizzero della salute sembrava indicare il contrario, perlomeno in certe zone della Svizzera» ci dice Lepori. Dal rapporto si evince che in Ticino una consultazione al pronto soccorso costa, in media, 266 franchi (in Svizzera: 382 franchi). E si stima che le spese per le urgenze rappresentino, a livello nazionale, lo 0,8% dei costi sanitari (l’1,8% se si considerano quelli a carico delle assicurazioni obbligatorie).
Una tassa? «Idea pericolosa» - Per frenare l’aumento dei pazienti nei reparti d’emergenza, non mancano le proposte politiche. Tra queste quella del consigliere nazionale Thomas Weibel (Verdi liberali), che parla di una tassa di cinquanta franchi a carico dei pazienti che scelgono il pronto soccorso. Un’idea che, secondo il parere personale del dottor Lepori, sarebbe discriminante e pericolosa: «Chi può permettersi di pagare continuerà comunque a frequentare il pronto soccorso. E chi non può, vi rinuncerà, magari anche in caso di patologia potenzialmente grave, mettendo così in pericolo la sua salute». Per Lepori una risposta andrebbe invece cercata in una riorganizzazione della presa in carico, «sia a livello interno ai reparti di pronto soccorso sia sul territorio, dove si deve trovare un’alternativa valida di fronte all’inesorabile diminuzione del numero di studi medici nelle regioni periferiche».