Un malore cardio-circolatorio uccise il sub che morì nella grotta

AROGNO - È stato un malore cardio-circolatorio all'origine della morte del sub italiano che perse la vita all'interno della sorgente Bossi in territorio di Arogno, lo scorso 29 ottobre. È quanto ha stabilito il rapporto autoptico. L'inchiesta sulla disgrazia, che si è conclusa in questi giorni e oggi la polizia ne rende noti i dettagli, ha evidenziato che i "sub che hanno eseguito l'immersione risultavano essere persone preparate ed esperte, entrambe titolari del brevetto di istruttore, munite di adeguata e funzionante attrezzatura".
Si presume dunque che la vittima, giunto in prossimità del cosiddetto "laminatoio", quindi del punto più profondo della grotta, in condizioni di visibilità estremamente ridotte, abbia perso il senso di orientamento, dovuto all'insorgere di un malore cardio-circolatorio. "In ogni caso -spiega il Ministero pubblico - è stato costatato l'esaurimento totale delle riserve di miscela (elio/ossigeno/azoto) contenute nelle bombole a sua disposizione.
La ricostruzione dei fatti
La polizia cantonale e la Magistratura ticinese sulla base delle testimonianze e dall'inchiesta che si è conclusa in questi giorni, ha potuto trarre - a distanza di un anno esatto - una ricostruzione di quanto accaduto quella domenica sera del 29 ottobre. "Verso le 21.00, cittadini italiani, tra cui la vittima, raggiungevano Arogno con l'intenzione di eseguire un'immersione nella sorgente Bossi. Sul luogo erano presenti altri due colleghi sub con compiti di appoggio tra cui, in particolare, quello di depositare per loro le bombole contenenti le miscele di fondo oltre il sifone della grotta ad una profondità di circa 80 metri. Il giorno prima erano già state posate da altri due sub le bombole per la linea decompressiva (percorso di rientro). Ultimata la fase di preparazione i due sub si sono immersi attorno alle 12.45, scendendo sino ad una profondità di meno 88 metri ed iniziando poi, superato il passaggio detto appunto del "laminatoio", la risalita dall'altro braccio della grotta. Dopo circa un'ora e venti minuti, sono riemersi nella cavità aerea presente all'interno della grotta. Qui si sono fermati, rimanendovi per circa due ore e mezza, tempo necessario per riposare e per desaturare i tessuti del corpo da azoto ed elio onde poter, in seguito, eseguire l'immersione di ritorno. Conclusa questa fase, i due sono scesi di nuovo e senza problemi lungo il braccio interno della grotta, fino ad una profondità di meno 88 metri. Superato il passaggio del "laminatoio", che avrebbe dovuto segnare l'inizio della risalita verso l'uscita della grotta, i due sub hanno perso il contatto visivo. Alla prima stazione di decompressione sulla via del ritorno, il compagno di immersione si è accorto che il collega né lo precedeva, né lo seguiva. Malgrado i rischi per la propria incolumità fisica, ha iniziato una ridiscesa alla ricerca del compagno senza tuttavia trovarlo. Causa il pericolo di una sovrasaturazione di azoto ed elio nei tessuti, è stato costretto a riprendere la risalita, riemergendo dalla grotta verso le 18.30. Le ricerche intraprese dal Reparto mobile speciale della Polizia cantonale con l'appoggio del Corpo Nazionale Soccorso alpino speleologico italiano e dello Speleo soccorso svizzero, hanno permesso, il giorno successivo, verso le ore 10.40, di rinvenire ad una profondità di circa 70 metri nel braccio interno della grotta, il corpo del sub già privo di vita".








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