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Donne vulnerabili? Anche gli uomini piangono

Mauro Pini: «Nello sci sempre al limite, è pericoloso. Nuove regole? Una reazione della Federazione internazionale tarda ad arrivare»
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Donne vulnerabili? Anche gli uomini piangono
Mauro Pini: «Nello sci sempre al limite, è pericoloso. Nuove regole? Una reazione della Federazione internazionale tarda ad arrivare»
«Piemontesi, trentini. lombardi, e poi il sud… l’unica cosa che accomuna gli italiani è la lingua. Conoscere la cultura e le abitudini del Paese per il quale lavoro, mi piace molto».
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LIVIGNO - Una chiacchiera sulla sua avventura con la squadra italiana di gigante e slalom si è trasformata in una lezione di gestione delle risorse umane, sul rispetto di ruoli, usi e costumi e sulla sicurezza. Relatore: Mauro Pini, pluripremiato e vincente allenatore svizzero che da quasi tre decenni è una figura di riferimento sulle piste da sci. Chiuso con Petra Vlhova, il 60enne di Airolo ha indossato la tuta azzurra per tentare di dare slancio a un movimento in difficoltà. 

«La squadra maschile italiana è in una fase di transizione - ci ha spiegato proprio Mauro - l’anno scorso hanno smesso diversi senatori e c’è quindi stato questo cambio. La Federazione cercava un allenatore che venisse da fuori per portare nuove idee, nuove parole… ed eccomi qui. Abbiamo aperto un nuovo ciclo, c’è molto da fare ma non abbiamo paura».

Transizione significa pazienza?
«Mah, sapete come è fatto il tifoso, quello italiano soprattutto: se arrivano i risultati sei bravissimo, altrimenti sei pessimo. E questo è un problema perché nello sci basta un centesimo per cambiare tutto. La ragione invece sta sempre nel mezzo. Ma in fondo è probabilmente per questo che mi hanno chiamato: avevano bisogno di un allenatore esperto che sapesse gestire questi “sbalzi”, queste situazioni».

L’Italia… com’è?
«Sto scoprendo un Paese con tante culture diverse, con tante sfaccettature. Piemontesi, trentini, lombardi, e poi il sud… mi sto accorgendo che l’unica cosa che accomuna gli italiani è la lingua. Tutto ciò, conoscere la cultura e le abitudini del Paese per il quale lavoro, mi piace molto. In queste settimane mi sto sorprendendo».

Prima della squadra maschile azzurra ci sono state tante donne, tante campionesse. La differenza maggiore tra i due sessi?
«Ci sono delle differenze a livello di comunicazione - con le ragazze è forse un po’ più “sensibile” - per il resto però il mio lavoro non è cambiato molto. Le campionesse con le quali ho avuto la fortuna di lavorare sono molto simili ai maschi per quel che riguarda l’etica lavorativa. Anzi, posso dire che sono ancor più concentrate, più maniacali. Ma d’altronde oggi è così, devi essere perfetto 24 ore al giorno per 365 giorni l’anno se vuoi provare a ottenere certi risultati. Il talento da solo non basta più. Ti serve forse per farti notare, a dodici anni, ma poi è tutto lavoro. Non si può scendere a compromessi».

Negli ultimi mesi tante campionesse hanno avuto brutti infortuni. Lara Gut, Michelle Gisin, Federica Brignone, Petra Vlhova… Tutte donne. Un caso?
«Servirebbe un’analisi approfondita… Se parliamo di ginocchia, le statistiche ci dicono che le donne sono circa sette volte più soggette a un infortunio a ginocchio e legamenti rispetto a un uomo. È una questione fisiologica. Negli ultimi anni si è inoltre scoperto che durante il ciclo mestruale ci sono dei momenti nei quali le atlete sono molto vulnerabili. Poi ci sono materiali, pista… e tutte le componenti di questo sport che vanno ad amplificare questa situazione. In generale, in ogni caso, di problemi ne hanno avuti parecchi anche tanti big tra i maschi. Ma qui ci sarebbe da fare un discorso più ampio».

Ovvero?
«Come detto, per pensare di primeggiare, gli atleti sono ormai costretti ad andare sempre al limite. E questo limite in uno sport di performance, è pericoloso. Lo sci è totalmente a contatto con la natura e per questo la prestazione non è mai programmabile al 100%. Non è la Formula1, nella quale ci sono delle monoposto che vanno velocissime ma le componenti legate al circuito si conoscono benissimo. Non è l’atletica dove la pista è perfetta e dà risposte alle sollecitazioni che sono controllabili. Nel nostro caso ogni singola curva presenta condizioni diverse. Il nostro è uno sport di adattamento. Al giorno d’oggi vince chi riesce ad adattarsi meglio. Il problema in tutto ciò è che la reazione della Federazione internazionale tarda ad arrivare».

Servirebbe un intervento per rallentare i protagonisti del circo bianco e, così, ridurre i rischi?
«Servirebbero nuove regole, sì. E alcuni accorgimenti sarebbero anche semplici da prendere: sci più corti, tute non aderenti… così la velocità diminuirebbe. Qualcosa si sta muovendo, certo, ma nel nostro sport, gestito dalle varie Federazioni, l’aspetto politico è ancora molto importante. Servirebbe invece unità di intenti, servirebbe mettere la sicurezza al primo posto. E questo gioverebbe a tutti, perché se a farsi male è un atleta di punta, è un problema globale. Anche per chi cura l’aspetto economico del movimento. Senza una Lara Gut, un Odermatt, una Brignone, una Vonn… cala tutto: una gara si “vende” meno, ci sono meno incassi, diritti tv minori…».

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