«No a un cambio di regime in Iran», ma l'Europa si spacca (ancora)


I 27 non sono concordi sulle politiche da attuare in merito alla guerra in Medio Oriente e a Gaza.
I 27 non sono concordi sulle politiche da attuare in merito alla guerra in Medio Oriente e a Gaza.
BRUXELLES - Sul Medio Oriente l'Unione Europea si avvia al corto circuito completo. Per una ragione molto semplice, peraltro la solita: gli Stati membri hanno visioni opposte su che linea tenere con Israele (e in misura minore con gli Stati Uniti) e dunque vanno in ordine sparso, paralizzando Bruxelles.
Davanti a Donald Trump che chiede «la resa incondizionata» dell'Iran l'Ue balbetta, ricordando che «il cambio di regime» non rientra nella posizione concordata tra i 27. Che dire poi delle parole del cancelliere tedesco Frederich Merz, secondo cui Israele sta facendo il "lavoro sporco" per conto dei suoi alleati? Un secco no comment.
La linea comune, frutto dei soliti compromessi, prevede l'appello alla moderazione, il ritorno al tavolo negoziale dell'Iran per trovare un accordo sul nucleare (che c'era già ma è stato stracciato da Trump), la diplomazia come «unica strada», il diritto di Israele «alla propria sicurezza e alla difesa» nonché un invito «a entrambe le parti" a rispettare "il diritto internazionale».
L'alto rappresentante Kaja Kallas si è a modo suo sbilanciata bollando come controproducente il possibile intervento degli Usa nel conflitto e che ora, per l'Europa, si potrebbe aprire «un ruolo nuovo». Passare dalle parole ai fatti è però molto difficile.
La prima tappa utile è il prossimo lunedì, con il consiglio Affari Esteri, propedeutico al Consiglio Europeo di giovedì e, in misura minore, al summit della Nato all'Aja di mercoledì. L'aggravarsi del conflitto tra Israele e Iran aleggia sull'Europa, con lo spettro della discesa in campo degli Usa (magari senza neppure avvisare i partner) in uno di quei giorni.
Come se non bastasse, non è tutto. Lunedì, infatti, sul tavolo dei ministri degli Esteri approderà la revisione del trattato di associazione Ue-Israele sulla base del rispetto dell'articolo 2, quello sui diritti umani. L'esito è scontato: la violazione. Ma cosa accadrà dopo? L'Ungheria, per dire, blocca senza riserve l'adozione di sanzioni contro Hamas e contro i coloni israeliani violenti (se la questione non sarà risolta dai ministri, assicura una fonte diplomatica, passerà ai leader al Consiglio Europeo).
Che dal Consiglio Esteri emerga qualcosa di definitivo sulla condotta da tenere con Israele su Gaza in virtù delle violazioni ai principi di base del trattato di associazione è fantasia. È probabile che il dossier-Kallas approdi sul tavolo dei leader, i quali a loro volta inviteranno il Consiglio Esteri ad adottare 'certe' misure e che, infine, la palla torni ai ministri a luglio, non più per valutare ma per agire.
L'ex premier estone, finita sulla graticola al Parlamento Europeo nel corso del dibattito sul "fermare il genocidio a Gaza" per presunta inazione, ha letteralmente sbottato. «Parlate come se io fossi l'unica responsabile di quello che succede a Gaza», si è sfogata.
«Io però qui non rappresento me stessa ma i 27 Stati membri: se spettasse a me decidere personalmente io una decisione la prenderei invece non posso perché serve l'unanimità», ha sottolineato riferendosi appunto al tema delle sanzioni ai coloni violenti. «Questa è la mia frustrazione e se portassi la proposta al Consiglio forse mi sentirei meglio ma so che non passerebbe e mostrerebbe la nostra divisione», ha detto ancora, visibilmente turbata.