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CINADopo il blitz aereo americano Pechino lancia due missili

26.08.20 - 18:33
Gli ordigni sono finiti in mare. Erano un avvertimento.
Keystone
Un "carrier killer" DF-21D
Un "carrier killer" DF-21D
Fonte Ats
Dopo il blitz aereo americano Pechino lancia due missili
Gli ordigni sono finiti in mare. Erano un avvertimento.

PECHINO - Questa mattina la Cina ha lanciato due missili nel mar Cinese meridionale inviando un avvertimento agli Stati Uniti dopo che un aereo spia americano, l'U-2, è entrato in una no-fly zone nel mare di Bohai senza permesso. Tra gli ordigni attivati da Pechino c'era un "carrier killer", destinato a colpire navi portaerei.

Secondo il South China Morning Post, che cita fonti vicine ai militari cinesi, uno dei missili, un DF-26B, è partito dalla provincia nordoccidentale di Qinghai, mentre l'altro, un DF-21D, è decollato dallo Zhejiang. Entrambi sono caduti in mare, in un'area tra la provincia di Hainan e le isole Paracel.

Le aree di caduta sono state all'interno di una zona vietata alla navigazione per via di esercitazioni militari che sono previste da lunedì a sabato come comunicato dalle autorità di sicurezza marittima dell'Hainan.

Il missile a doppia capacità DF-26 è un tipo di arma vietata dal trattato sulle forze nucleari a raggio intermedio (Irnft) firmato da Stati Uniti e Unione Sovietica alla fine della Guerra Fredda. Quando Washington ha deciso il ritiro dal trattato nel 2019, l'ha motivato col dispiegamento di tali armi da parte della Cina.

Il DF-26, "l'ammazza Guam o portaerei", ha una portata di 4'000 km e può essere usato in attacchi nucleari o convenzionali contro obiettivi terrestri e navali. Il DF-21, invece, ha una gittata di circa 1'800 km: i media statali hanno descritto la versione DF-21D come il più avanzato della serie e il primo missile balistico anti-nave al mondo.

La fonte citata dal Scmp ha spiegato in forma anonima che lo scopo dei lanci è di migliorare la capacità della Cina di negare ad altre forze l'accesso al mar Cinese meridionale, le cui acque sono agitate dalle rivendicazioni territoriali. Il vero obiettivo, però, è la crescente presenza statunitense, tra aeronautica e marina.

L'Esercito popolare di liberazione sta conducendo manovre quasi simultanee e continue in quattro regioni marine, seguendo un piano inconsueto. A inizio agosto, le esercitazioni hanno interessato aree a nord e a sud di Taiwan «per salvaguardare la sovranità nazionale», nello stesso periodo della missione nell'isola del segretario alla Sanità americano Alex Azar.

A luglio, è stata la volta del mar Cinese meridionale e orientale e del mar Giallo, proprio quando due portaerei americane erano impegnate nel mar Cinese meridionale in attività «a sostegno di un Indo-Pacifico libero e aperto». In aggiunta, Washington ha anche inviato numerosi jet e navi militari per monitorare da vicino l'attività cinese, come l'U-2 rilevato martedì.

L'attivismo di Pechino nei mari ha creato nervosismo nei Paesi vicini: il Vietnam, ad esempio, ha chiesto lo stop immediato delle operazioni alle isole Paracel, che violerebbero la sua sovranità e sono considerate dannose per i colloqui Cina-Asean su un codice di condotta del mar Cinese meridionale.

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