MO: ritiro Gaza, Sharon vuole accelerare ma Likud frena
GERUSALEMME - Ariel Sharon (Likud) e il laburista Shimon Peres hanno oggi tenuto la prima seduta del nuovo esecutivo israeliano, battezzato dalla stampa "il governo del disimpegno" perché il suo incarico principale sarà quello di accelerare i tempi per la realizzazione del ritiro da Gaza e per lo sgombero forzato di migliaia di coloni.
Sharon ha già avuto oggi un primo contatto telefonico con il presidente eletto palestinese Abu Mazen: due minuti appena, in cui i due leader hanno stabilito di cooperare e di incontrarsi non appena si saranno create le condizioni necessarie.
Il Rais è infatti impegnato a mettere a punto un nuovo governo e a riformare i servizi di sicurezza allo scopo di stabilizzare la situazione nei Territori. "L'incontro non potrà avere luogo prima di due settimane" ha previsto Nabil Shaath, il responsabile dell'Anp per le questioni estere.
A Gerusalemme la nomina di Abu Mazen ha destato ottimismo. "Le sue posizioni non sono poi troppo distanti da quelle del nuovo governo israeliano" ha osservato il capo dello stato Moshe Katsav, che si è congratulato telefonicamente con il presidente palestinese.
Al governo il ministro della difesa Shaul Mofaz ha illustrato una serie di misure che, una volta adottate sul terreno, potrebbero contribuire ad allentare la tensione e a riprendere il dialogo. Secondo la stampa, Israele è pronto a cedere al controllo della sicurezza palestinese via via tutte le principali città cisgiordane e a rimuovere diversi posti blocchi dalle arterie cisgiordane, sempre che le condizioni di sicurezza lo permettano.
In prospettiva, Sharon e Peres vogliono verificare se esista la possibilità reale di coordinare con la sicurezza palestinese il ritiro da Gaza, che dovrebbe iniziare fra cinque mesi.
Ma le energiche intenzioni dei due grandi vecchi della politica israeliana (Peres ha 82 anni, Sharon 76) si scontrano con una situazione interna desolante: loro vorrebbero accelerare i tempi, mentre un terzo del Likud (che si oppone al ritiro da Gaza) preme disperatamente sui freni. Ieri, alla Knesset, 13 deputati del Likud hanno votato contro il governo. Domani ripeteranno forse la protesta quando Sharon presenterà la finanziaria in prima lettura.
"Nel Likud c'è una scissione di fatto" ha scritto il quotidiano Haaretz. Un parere analogo era stato espresso ieri dal ministro della giustizia, Zipi Livni, molto vicina a Sharon. Domani dunque Sharon rischia nuovamente di trovarsi in minoranza, oppure di essere salvato per miracolo da una sconfitta grazie ad una manovra di corridoio dell'ultimo minuto.
In queste condizioni sarebbe davvero illusorio pensare che il nuovo governo sarà capace di far fronte alla potente protesta extraparlamentare già montata dal movimento dei coloni, da ambienti rabbinici radicali e perfino da ufficiali-coloni, sei dei quali sono stati espulsi nei giorni scorsi dall'esercito.
All'interno della coalizione, poi, c'è una gran sarabanda. Due deputati laburisti, della corrente sindacale, voteranno domani contro la finanziaria per dissensi sulla politica economica di Benyamin Netanyahu. Il piccolo partito ortodosso Fronte della Torah (appena cinque deputati) si è inoltre scisso oggi di fatto in tre diverse liste.
Per superare queste difficoltà, ha detto oggi il ministro della sanità Dani Naveh (Likud), Sharon dovrebbe accettare la proposta dei suoi contestatori della destra del Likud di sottoporre il ritiro da Gaza ad un referendum nazionale.
Netanyahu la pensa come lui, e anche il ministro dell'istruzione Limor Livnat. Ma da decenni in politica, Peres e Sharon fiutano la trappola. Prima occorrerebbe infatti far approvare alla Knesset la legge fondamentale sul referendum e nei giochi di corridoio l'iter potrebbe richiedere mesi, magari anni.
Resta dunque l'ipotesi di elezioni anticipate. Se domani Sharon uscisse sconfitto dal voto sulla finanziaria, potrebbe essere proprio quella la sua ultima sponda.




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