L'esperienza di Ettore Serafini di Paradiso, che cerca tecnici di elettrodomestici e non ne trova: «Manca la voglia di mettersi in gioco. E io rischio di chiudere»
LUGANO - Offrire un lavoro, sperare di darlo alla propria gente. Aprire le braccia, sconsolati. «Se va avanti così, rischio invece addirittura di chiudere. Non trovo personale».
«Oltre 10mila franchi di stipendio»: non bastano? - Ettore Serafini di Paradiso, un'impresa per la riparazione di elettrodomestici dal 2014. Prima in Ticino, da maggio 2015 in Svizzera francese, dall'inizio di quest'anno nei cantoni tedeschi. Il lavoro c'è, dice: «Le richieste di assistenza sono 150 al mese in Ticino, 300 in Romandia. Centocinquanta in Svizzera tedesca, ma solo perché abbiamo cominciato». Una buona paga pure: «A 80 franchi l'ora, più 50 di spese a ogni uscita con mezzo proprio, si può arrivare anche a 12-14mila franchi al mese. Uno stipendio interessante, no?».
Solo una candidatura su 10 va bene (forse) - Ma pochi si fanno vivi, e quelli che osano finiscono per dimostrarsi poco motivati. «In un mese, abbiamo ricevuto dieci candidature. La metà non erano pertinenti. Stiamo valutando le altre. Forse andrà in porto qualcosa con uno solo. Un cittadino belga di origini congolesi».
«Le abbiamo provate tutte: niente» - Annunci ovunque, in tre lingue. Agenzie interinali. Centri per l'impiego. «Le abbiamo provate tutte», garantisce Serafini. A questo punto, riflette, «il problema non è il messaggio che non arriva». Ce ne sono tanti, a onor del vero. «Un po' c'è carenza di personale qualificato, sì. Ma soprattutto manca la voglia di mettersi in gioco. Ho incontrato diverse persone che hanno deciso di farsi bastare la disoccupazione. Ricevono a sufficienza per vivere, fanno qualche lavoretto qua e là in nero: e va bene così».
Si trovano solo stranieri (e pochi) - Due persone assunte in Ticino, una delle quali ex-frontaliere. «Oggi però vive qui. L'abbiamo convinto a trasferirsi. Noi ci crediamo. Non è discriminazione. Se si è sul territorio, se lo si conosce, si può offrire un servizio migliore». Le difficoltà maggiori, al momento, sono in Romandia e in Svizzera francese, ma qui non è certo un'eccezione felice.
Prima il piacere (e gli hobby). Il dovere quando? - Se ti capita di voler dare una mano a un disoccupato, racconta, ottieni un no: e solo se va bene. «A una persona di Lugano in disoccupazione abbiamo proposto di lavorare su Berna. Gli avevamo anche offerto aiuto per l'alloggio. Dovevamo sentirci dopo 3 giorni. Sparito. Un altro, sempre in disoccupazione, ha lavorato tre settimane. Ha rinunciato. Preferiva dedicarsi al teatro e ai suoi hobby, si è giustificato».
Poca voglia di sporcarsi le mani - Così, «in Romandia ci sono un frontaliere francese e un portoghese residente; in Svizzera interna un ragazzo rumeno residente in Italia». Cinque professionisti in tutto, quando «me ne servirebbero dieci». Attività disprezzata, svizzeri poco umili e propensi a sporcarsi le mani?
L'altra pecca: una scuola carente - «Chissà. Certo qui la formazione è carente. In Italia per esempio esistono scuole specifiche: frigorista, tecnico del bianco. In Svizzera mancano. Anche altri fanno fatica a trovare personale, ma colossi come Bosch possono permettersi di crescerlo e istruirlo "in casa". I piccoli come noi no».