Veterinari in crisi: «Diversi colleghi si sono tolti la vita»

Stando a vari studi in nessun’altra professione si riscontra un tasso di suicidi così elevato. E il trend si sente anche in Ticino.
LUGANO - Potrebbe essere considerato, quantomeno da chi ama gli animali, il lavoro più bello al mondo. Ma dietro l’immagine idilliaca della professione del veterinario si nasconde una realtà tutt’altro che allegra. Stando a uno studio pubblicato nel 2019 dal Journal of the American Veterinary Medical Association, infatti, quello dei veterinari è il gruppo professionale con il tasso di suicidi più alto in assoluto. E ulteriori ricerche condotte in altri Paesi sembrano confermare il macabro trend.
Ma cosa succede, invece, in Svizzera? E nel nostro cantone? Ne abbiamo parlato con Andrea Togni, presidente dell’Ordine dei veterinari del canton Ticino.
«Vari colleghi non ci sono più» - «Io sono stato più volte toccato da questi avvenimenti, purtroppo vari colleghi non ci sono più», ci dice. «Il risultato di questi studi, dunque, non mi stupisce. È una tendenza che rattrista, e che andrebbe investigata anche nel nostro Paese, soprattutto in ottica di prevenzione».
A tu per tu con la sofferenza - I fattori di stress, nella professione, sarebbero infatti diversi. Il veterinario, in primo luogo, accompagna alla morte un essere vivente cinque volte più spesso che un medico, giocando peraltro un ruolo attivo nel decesso. «È vero che gli animali che sopprimiamo sono gravemente malati, ma c’è chi si immedesima molto nei proprietari e fatica a mantenere un minimo di distanza», commenta Togni. «Va detto, poi, che alle volte ci troviamo confrontati con situazioni tragiche, anche a livello umano: capita ad esempio di dover effettuare una soppressione e che i proprietari manifestino una particolare sofferenza, perché l’animale apparteneva a un familiare già deceduto. E per noi non è facile affrontare questi momenti».
«Tensioni» sui pagamenti - I veterinari, inoltre, sono spesso oggetto di critiche. «Le nostre prestazioni non sono coperte dalla cassa malati obbligatoria, quindi l’aspetto finanziario può essere un problema per il proprietario, che poi va a ripercuotersi sul veterinario. E ciò può portare a tensioni che non hanno a che vedere con le cure».
I veterinari, infine, non sono estranei a lunghe giornate di lavoro e sono tenuti, per legge, a coprire orari notturni e giorni festivi svolgendo dei picchetti. Al contempo, chi ha uno studio proprio deve assicurarsi che il business funzioni, stando dietro a fatturazione e burocrazia.
Il punto di rottura - «La somma di tutti questi fattori può andare a pesare sulla giornata lavorativa di un veterinario, mettendolo in difficoltà a livello psichico ed emozionale», sottolinea Togni. «A questi aspetti si possono poi aggiungere questioni legate alla vita privata..e c’è chi arriva a un punto di rottura».
Per fronteggiare questo problema, nel 2024 la Società svizzera dei veterinari ha lanciato un progetto interamente dedicato alla salute mentale. Il focus è posto sulla formazione, la comunicazione e la sensibilizzazione, così come sull'accompagnamento dei neoveterinari nell’entrata al mondo del lavoro.
Chiedere aiuto - Dal 2023 è inoltre attiva una helpline volta a supportare i veterinari, gli studenti in medicina veterinaria e gli assistenti di studio veterinario in situazioni di difficoltà. Purtroppo però il servizio è attualmente disponibile solo in tedesco e in francese. «L’helpline è un servizio ancora abbastanza nuovo», ci dice Togni. «Mi sono informato e posso dire che nel primo anno dal suo lancio sono state ricevute 12 chiamate, una media di una al mese, mentre già nel secondo anno, quando il servizio si è fatto conoscere maggiormente, è stato raggiunto un numero di 30 chiamate».
Per quanto riguarda invece il discorso linguistico «se un veterinario ha studiato in Svizzera dovrebbe conoscere il tedesco, perché gli studi di medicina veterinaria si possono fare solo a Zurigo e a Berna. È vero però che magari, quando si affrontano questioni così delicate, ci si trova meglio a parlare nella propria lingua madre». La Società svizzera dei veterinari, ad ogni modo, non disdegna ulteriori passi avanti. «Mi hanno detto che, se ci sarà la possibilità, non è escluso che si introduca anche la lingua italiana. Va detto comunque che chi risponde a queste chiamate deve essere preparato a farlo e di conseguenza va formato», conclude il veterinario.